“La sanità in Calabria continua ad essere un disastro e non possiamo aspettarci che si possa risolvere tutto con uno schiocco di dita. C‘è da lavorare tanto, duramente, capire bene cosa fare per prima e come, ma vorremmo avere visto una pianificazione che non c’è, neanche la struttura commissariale è completa. Il Presidente Occhiuto non ha ancora imboccato la strada giusta, combattuto tra velleità di nuovo e difficoltà nel definire “chi” questo nuovo deve portare avanti”. L’analisi di Amalia Bruni, leader dell’opposizione in Consiglio regionale è impietosa, e viene ribadita nel corso di un incontro da remoto che l’onorevole Bruni ha tenuto con una rappresentanza di donne democratiche proprio per parlare di sanità, affrontandola dalla prospettiva del genere.
Alla riunione hanno preso parte on line Teresa Esposito, coordinatrice regionale delle donne del Partito democratico ed altre militanti tra cui Anna Melillo e Anna Giulia Caiazza di Crotone, Emanuela Neri di Catanzaro, Maria Canduci di Vibo Valentia, Maria Locanto di Cosenza, Antonia Romano di Cosenza, Lucia Spagnuolo di Reggio Calabria, Luciana Pellicano di Reggio Calabria, Aquila Villella di Catanzaro e Lidia Vescio di Catanzaro. Dal territorio i problemi emersi sono quelli di sempre, la mancanza di una medicina territoriale, la carenza di strutture adeguate e soprattutto l’assenza quasi totale di misura idonee di prevenzione. Manca la sanità, figuriamoci l’attenzione al genere! “Dodici anni di commissariamento – ha affermato Amalia Bruni - hanno solo catastrofizzato la situazione, se i Lea quindici anni fa erano 129 e oggi siamo scesi ancora, vuol dire che il “Metodo Commissariamento” è stato sbagliato con annesse scelte sbagliate di inadeguati commissari. La situazione è quella che è. Emergenza Urgenza allo sbando con ambulanze “sostituite” dalle forze di polizia, pochi presidi ospedalieri che si reggono sulla volontà di operatori ridotti all’osso, una sanità territoriale pressocchè inesistente, burocratizzata e che diventa un percorso ad ostacoli qualunque risposta si cerchi. E’ evidente che i cittadini si siano disaffezionati e anche le prestazioni che potrebbero essere erogate “in casa”, vengano richieste fuori…Andrebbe ricostruito un rapporto di fiducia tra gli operatori e i cittadini e questi ultimi andrebbero anche informati sulle buone pratiche e buone situazioni che comunque la nostra sanità offre seppure in un contesto non armonico.
"La popolazione calabrese, e femminile in particolare, è quella che ha più malattie in assoluto comparando i dati a livello nazionale e che dunque avrebbe bisogno di maggiore cura, di più attenzione. Gli screening sono bassi ma spesso le donne non partecipano neanche. Accade più frequentemente nei piccoli centri (e la Calabria è fatta dai piccoli comuni), le donne dovrebbero spostarsi e questo diviene difficile; spesso non hanno neanche contezza dell’importanza e i tabu’ diventano uno scoglio insuperabile. Il problema è dunque anche culturale e parte dal basso livello scolare e dall’abbandono scolastico che provoca una mancanza di sviluppo della capacità di critica e del pensiero libero. Oggi la conosciamo bene questa relazione sulla quale tutte le agenzie mondiali si sono appuntate. Più basso è il livello scolare e culturale, più basso è il livello economico e maggiore è il rischio di sviluppare malattie a tutti i livelli. La mancanza di informazioni e conoscenze ti porta a fare scelte sbagliate nel quotidiano e a non porre attenzione all’alimentazione, agli stili di vita, alla prevenzione…insomma a tutti quegli aspetti che sono passaggi fondamentali per costruire “salute” ancor prima che sanità. I costi altissimi della sanità possono certamente ridursi (calcoli già esistenti) implementando le pratiche preventive e gli stili di vita. "Sono convinta che la visione delle donne, più ampia e mediatrice, più perseverante, meno incline ai conflitti (se la crisi tra Ucraina e Russia fosse stata gestita da donne non saremmo mai arrivate alla guerra) può fare la differenza nel nostro contesto e dunque il lavoro che le donne possono e devono fare tutte insieme è proprio quello di partire dai temi, identificando gli obiettivi e, trovando strade innovative, raggiungerli", ha detto Bruni.
"La politica deve lavorare intensamente per colmare il gap esistente, ci deve credere. La legge sulla parità di genere approvata dal Consiglio l’8 marzo, pur con molte criticità che io stessa ho sollevato, è comunque una legge quadro che ora ci consente di lavorare tutte insieme per costruire i regolamenti e da questi partire. Proprio per questo ho svolto una serie di riunioni nel corso delle ultime settimane, tra le quali quella con i centri antiviolenza inclusi nel CADIC, per capire meglio cosa fare per migliorare la risposta sui territori. A questo proposito devo dire di avere riscontrato una forte sensibilità da parte di tutte le colleghe che fanno parte della maggioranza. Sono sicura che se facciamo prevalere la nostra visione di donne riusciremo, evitando di spendere 600 mila euro in parrucche, investire invece in prevenzione e percorsi diagnostici e assistenziali che portino le persone a non averne bisogno", conclude Bruni.
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