di FRANCESCO DI LIETO*
Mai come quest’anno ci siamo resi conto di quanto sia “vitale” avere una efficiente sanità pubblica. A tal proposito è doveroso compiere un salto indietro di più di 40anni, quando l’Italia mise in piedi un modello che il mondo ancor oggi ci invidia perché permetteva (purtroppo soltanto sulla carta) di razionalizzare la spesa, facendo assurgere la programmazione a strumento di controllo dell’impiego delle risorse per il recupero dell’efficienza. Il tutto per garantire quello che era il principio ispiratore di quella “riforma”: dare a tutti (ma proprio a tutti) una sanità gestita in maniera coerente ed uniforme.
All’epoca Ministro della Sanità era davvero un gigante. La donna che ho sempre sperato fosse il “mio” Presidente della Repubblica, nonostante non abbia mai lontanamente pensato di votare per il suo partito. Tina Anselmi - con il sostegno di gran parte del parlamento, in primis il partito di Enrico Berlinguer - ci consegnó un meraviglioso modello di sanità globalizzata. Tanto sta a dimostrare come alcune battaglie non abbiano colore; sono giuste e basta. Le pallottole e le bombe avrebbero spazzato via quelle embrionali intese finalizzate a garantirci un inalienabile diritto.
Cosa accadde subito dopo, purtroppo, è storia nota. Una storia di complicità diffuse che hanno portato a morire sul nascere una riforma che mirava ad attuare quanto previsto dalla carta costituzionale: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Non ultime le responsabilità di quei “megafoni” che, allora come oggi, hanno strumentalmente dipinto la privatizzazione selvaggia come la panacea di tutti i mali. E così la folle corsa al profitto, finanche sulla nostra pelle, ha portato ad una spesa fuori controllo. Relegando la salute ad una “merce” da vendere e su cui lucrare.
In questo nuovo e redditizio mercato si sono affacciati davvero tutti. Dai criminali ai preti.
Oggi, in questo sfacelo di commissari, generali, prefetti, Asp sciolte per mafia, debiti fuori controllo, imprenditori e prenditori,
ripensare alla riforma del ‘78 non farebbe male. Quando il nostro paese pensó alla nazionalizzazione, assumendo la proprietà dei servizi sanitari; ritenendo che tutti gli operatori sanitari (ma proprio tutti) dovessero diventare dipendenti pubblici.
*Codacons
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