Lino Puzzonia, ematologo catanzarese e studioso nonché politico impegnato nel segmento della sinistra prosegue, per La Nuova Calabria, in questa seconda puntata il suo “viaggio” lungo le strade, spesso impervie e dissestate della Sanità nella nostra regione. E ricorda Il decennio dopo la Riforma. La spesa storica, le contingenze politiche nazionali e loro effetti sulla Calabria.
“La grande svolta legislativa della Riforma sanitaria, davvero epocale, marcò alcune gravi difficoltà. La prima era costituita dalla straordinaria differenza sul piano strutturale tra il Centro Nord e il Meridione.
L’Italia settentrionale godeva di una vasta rete ospedaliera e di numerosi policlinici universitari in tutte le regioni e particolarmente in Lombardia, Veneto, Emilia e Romagna e Toscana oltre che a Roma. Il Meridione continentale poteva contare solo sulle isolate postazioni di Napoli e Bari e di una rete ospedaliera estremamente ridotta e spesso fatiscente.
Questa situazione avrebbe richiesto un’opera di orientamento da parte dell’autorità centrale per favorire in qualche modo l’avvio di un riallineamento che lo spirito della Riforma evidentemente richiedeva per rispettare il principio dell’Universalismo e dell’Equità.
La sfortunata contingenza politica nazionale invece favorì per quasi un decennio la presenza al Ministero della Sanità (salvo brevi intervalli di Aldo Aniasi e Costante Degan) di Renato Altissimo alto esponente di quel Partito liberale che era stato l’unica forza politica che aveva votato in Parlamento contro l’approvazione della legge Anselmi.
La Riforma richiedeva una serie di atti conseguenti, a livello nazionale, che avessero la stessa caratura di progresso della legge madre per procedere speditamente lungo il percorso aperto con la sua approvazione. Tutti questi atti conseguenti subirono un pesante rallentamento e alcuni anche un pesante rilancio di conservatorismo come il nuovo stato giuridico del personale che tanto nuovo non fu. Di conseguenza la situazione operativa non subì particolari mutamenti e con essa la distribuzione delle risorse che avveniva in base alla spesa storica ed era quindi evidentemente tutta spostata verso i territori dotati di maggiori strutture e posti letto.
Non vi era all’epoca ancora il principio di economicità e in buona sostanza fino agli anni novanta lo Stato continuò a ripianare debiti a piè di lista con effetti devastanti sul debito pubblico.
In Calabria la politica, in effetti, cercò di correre ai ripari e cercò di aumentare la spesa e quindi le probabili maggior risorse negli anni successivi pensando a una faraonica rete di 41 ospedali. Si trattava di tre ospedali regionali, una decina di ospedali provinciali e quasi trenta ospedali zonali, i famosi ospedali fotocopia, in linea di massima infatti tutti uguali tra di loro con le degenze di Medicina, Chirurgia generale, Ostetricia e Ginecologia, Pediatria e Ortopedia.
All’epoca la scelta fu probabilmente in buona fede stante la pratica medica dei primi anni ottanta ma svelò una serie di cattive pratiche politiche che, non abbandonate negli anni successivi, come vedremo, avrebbero creato il collasso della sanità regionale.
La politica calabrese scoprì infatti che la previsione e poi la nascita di un ospedale comportava una grande promozione sociale dei comprensori interessati e anche il favore indotto dalla crescita delle occasioni di lavoro per tutta una serie di figure professionali sanitarie e non ma anche di tutte le attività commerciali della zona Insomma un drastico orientamento elettorale che costituì la fortuna politica di centinaia di sindaci e di tanti consiglieri regionali.
Tali fortune erano così redditizie che, nel tempo, quando la situazione avrebbe drasticamente dovuto cambiare, si è determinato un arroccamento su certe posizioni che, anche questo lo vedremo, è continuato fino ai nostri giorni e non accenna a voler cambiare.
Tutto questo era favorito dal fatto che la Riforma sanitaria, formidabile sul piano dei contenuti, non lo era altrettanto sul piano politico- istituzionale. Le Unità sanitarie Locali (USL), strutture previste dalla Riforma per l’erogazione dei servizi sanitari, erano disegnate sulla falsariga dei precedenti Enti ospedalieri (Un comitato di gestione con un Presidente) ma con competenze e bilanci di gran lunga più grandi avendo inglobato oltre agli ospedali anche i disciolti Enti mutualistici, l’ENPI, gli uffici di Igiene comunali e quello del medico provinciale e via dicendo.
Insomma forti poli del potere locale fortemente legati al territorio, ognuno dei quali amministrava una grande quantità di personale e una grande quantità di risorse. In Calabria fu fatta anche la scelta di parcellizzare, all’estremo limite, il territorio creando trentuno UUSSLL utilizzando come criterio di territorializzazione in media quasi il minimo di popolazione previsto dalla legge per ognuno di essi (50.000 abitanti). Nei lustri seguenti si dovrà via via andare a una riduzione fino alle cinque attuali.
Nasce insomma un complesso sistema che nel tempo verrà a valere quasi i due terzi del bilancio regionale e che rappresenterà la ragion d’essere della Calabria e di tutte le regioni che punteranno nel tempo a difendere a tutti i costi quel decentramento che, come abbiamo detto, era stato introdotto forse con troppa fiducia dalla legge di Riforma sanitaria.
Nel corso degli anni ulteriori provvedimenti di riforma della Riforma condurranno quasi al superamento del SSN e alla creazione di ventuno diversi servizi sanitari regionali con le disuguaglianze evidenti a chiunque e che rischiano di essere ulteriormente esasperate dai venti di autonomia differenziata che soffiano sul paese.
Naturalmente si comprende bene che il servizio sanitario di ogni regione rappresenta anche un formidabile strumento per la conquista del consenso. In maniera virtuosa migliorando continuamente la quantità e la qualità dei servizi offerti ai cittadini ma anche attraverso la nascita di intricati rapporti clientelari.
La politica calabrese ha nel tempo privilegiato troppo spesso la seconda via modulandola, in maniera assai devastante. Infatti da quella che mi piace chiamare la clientela micro (il posto di lavoro, l’assegnazione di un primariato, un certo acquisto, un trasferimento di comodo) cioè atti che comunque, pur essendo riprovevoli sul piano etico, possono ancora convivere con le buone scelte di fondo e con la effettuazione di un servizio efficace ed efficiente si è passati alla clientela macro. Intendo con macro la conquista del consenso di interi territori con la demagogia utilizzando il malcontento degli ignari cittadini e forse, in molti casi, degli altrettanto ignari amministratori locali con promesse del mantenimento o riapertura di strutture inutili e dannose ma fortemente significative sul piano del pennacchio e del campanile. E’ questo il caso della storia infinita degli ospedali zonali che più avanti tratterò con maggiore dettaglio.
Quando l’aspetto clientelare prevale in maniera così marcata come è avvenuto in Calabria compromette in maniera determinante la missione del SSR innescando un infernale meccanismo che porta più o meno inevitabilmente al disastro del sistema sia sul piano finanziario che su quello operativo
Lino Puzzonia
2-Continua
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