di RITA TULELLI
Negli ultimi anni, il fenomeno delle aggressioni ai danni dei sanitari è diventato un problema sempre più grave e allarmante, raggiungendo livelli tali da richiedere non solo misure urgenti ma anche un ripensamento strutturale della sicurezza nelle strutture ospedaliere. L’ultimo episodio, avvenuto al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Vibo Valentia, dove i medici sono stati brutalmente aggrediti durante il loro turno di lavoro, rappresenta solo l’ennesima manifestazione di una crisi di sicurezza diffusa in tutto il Paese.
Il caso di Vibo Valentia ha destato particolare scalpore, tanto che il prefetto ha richiesto l’intervento dell’esercito per garantire l’ordine e la sicurezza all’interno dell’ospedale. Una decisione forte e, per certi versi, eccezionale, che testimonia la gravità della situazione. Ma questa misura può essere considerata solo temporanea: la protezione dei sanitari non può essere affidata esclusivamente alla presenza delle forze armate. C’è bisogno di un approccio sistematico che metta al centro la tutela del personale medico e paramedico.
Le aggressioni ai danni dei sanitari sono diventate sempre più frequenti negli ultimi anni, e non riguardano solo i Pronto Soccorso. Medici, infermieri, operatori socio-sanitari, e persino il personale amministrativo delle strutture sanitarie, si trovano spesso a essere vittime di insulti, minacce e, nei casi più gravi, violenze fisiche. Le cause possono essere molteplici: dall’esasperazione di pazienti e familiari di fronte alle attese nei Pronto Soccorso sovraffollati, all’incomprensione di diagnosi o trattamenti, fino alla frustrazione legata alla pandemia di COVID-19 che ha sovraccaricato il sistema sanitario.
Tuttavia, queste situazioni, pur comprensibili in termini di stress, non possono giustificare una violenza che mina la stessa funzione dei professionisti della sanità, che quotidianamente si occupano di salvare vite e prendersi cura delle persone. L’aggressione ai sanitari diventa così il sintomo di un disagio sociale più ampio, che va affrontato con determinazione, attraverso misure di prevenzione, educazione e repressione.
In Italia, i sanitari godono già di uno status di pubblico ufficiale durante l’esercizio delle loro funzioni, il che significa che le aggressioni a loro danno sono punibili con pene severe. Tuttavia, questo non sembra essere sufficiente a prevenire episodi di violenza che, anzi, continuano ad aumentare. Cosa fare, allora, per garantire una maggiore protezione a chi lavora in prima linea nel settore sanitario?
In primo luogo, occorre un incremento della sicurezza all’interno delle strutture ospedaliere, in particolare nei Pronto Soccorso, dove si verificano la maggior parte delle aggressioni. È necessario un potenziamento dei servizi di vigilanza, con la presenza di personale dedicato che possa intervenire tempestivamente in caso di comportamenti aggressivi. Tuttavia, non si può pensare che la soluzione sia solo fisica: occorre investire anche in formazione, sensibilizzazione e prevenzione.
È importante che le istituzioni implementino campagne di educazione rivolte alla cittadinanza, per far comprendere che i sanitari non sono né capri espiatori né soggetti da colpevolizzare per le inefficienze del sistema. Al contrario, devono essere rispettati e tutelati, come professionisti essenziali al benessere collettivo.
L’appello del prefetto di Vibo Valentia, che ha chiesto l’intervento dell’esercito, è un segnale forte ma che deve essere accompagnato da azioni politiche più incisive. Le istituzioni devono ascoltare le richieste di aiuto che arrivano dal personale sanitario e dai sindacati di categoria, che da tempo denunciano la pericolosità crescente del lavoro in ospedale.
La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO) e altre sigle sindacali del settore sanitario hanno più volte chiesto al governo un piano di sicurezza dedicato. Tra le proposte, oltre al potenziamento dei sistemi di vigilanza, vi è la creazione di ambienti più sicuri nei reparti critici, come i Pronto Soccorso, e l’introduzione di percorsi dedicati per i pazienti più problematici o a rischio di comportamenti violenti.
Inoltre, è fondamentale migliorare le condizioni di lavoro del personale sanitario, spesso costretto a turni massacranti e a lavorare in ambienti sovraffollati, che contribuiscono a creare un clima di tensione. L’assunzione di nuovo personale e una migliore organizzazione del lavoro potrebbero ridurre lo stress, migliorare il servizio offerto e, di conseguenza, abbassare il rischio di episodi di violenza.
Il dramma dell’aggressione ai sanitari non può più essere ignorato o minimizzato. È un problema che va affrontato con urgenza e con misure concrete. I medici, gli infermieri e tutto il personale ospedaliero devono poter lavorare in sicurezza, consapevoli che la loro missione, quella di curare e salvare vite, non può essere compromessa dalla paura di subire violenze. La tutela dei sanitari non è solo un diritto di chi lavora in ospedale, ma una necessità per garantire un sistema sanitario efficiente e sicuro per tutti.
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