di SARAH YACOUBI*
La creazione di un “sistema privacy” all’interno delle Pubbliche Amministrazioni è una diretta conseguenza dall’attuale sistema regolatorio. Infatti, la disciplina prevede la costituzione di un vero e proprio meccanismo interno di gestione dei dati, sistema che necessita di aggiornamenti poiché il mantenimento dell’aderenza al GDPR è, a tutti gli effetti, un processo dinamico
Processo che deve tenere conto di due ordini di fattori.
Quelli interni perché durante lo svolgersi della vita aziendale continuamente nascono nuovi processi aziendali, sono adottate nuove tecnologie, sono erogati nuovi servizi, sono implementate nuove procedure di gestione.
Quelli esterni dovuti agli interventi normativi, ai provvedimenti del Garante Nazionale ed Europeo, alle pronunce della giurisprudenza nazionale o comunitaria ma anche interazioni con i partner o i fornitori aziendali, che potrebbero incidere sul sistema adottato. Se qualcuno, ancora oggi, sottovaluta l’insieme di queste regole, dovrebbe fargli cambiare idea le sanzioni comminate dal garante della Privacy a tre strutture sanitarie che non avevano adottato le misure tecniche e organizzative necessarie per evitare che i dati dei loro pazienti siano comunicati per errore ad altre persone.
Lo ha ricordato il Garante per la privacy nel sanzionare due ospedali e una Asl per le violazioni di dati personali causati non da attacchi informatici esterni, ma da procedure inadeguate e da semplici errori materiali del personale.
Un ospedale toscano ha ricevuto la sanzione di 10.000 euro per aver spedito via posta, al paziente sbagliato, una relazione medica contenente le informazioni sulla salute e la vita sessuale di un’altra coppia.
Anche un ospedale dell’Emilia-Romagna ha ricevuto la sanzione di 10.000 euro per aver consegnato a dei pazienti cartelle cliniche contenenti dati e referti riferibili ad altre persone, incluso un minore. In entrambi i casi le sanzioni sono state calcolate tenendo conto che le strutture sanitarie hanno immediatamente dimostrato un elevato grado di cooperazione con il Garante e che gli episodi sono risultati isolati e non volontari. Le due strutture hanno anche pianificato ulteriori misure tecniche e organizzative per ridurre al minimo l’errore umano.
Un terzo caso riguarda invece una Asl dell’Emilia-Romagna, dove una paziente aveva esplicitamente richiesto – sottoscrivendo un apposito modulo – che nessun soggetto esterno, neppure i familiari, fosse informato sul suo stato di salute. Il modulo, però, era stato inserito all’interno della cartella clinica. Un’infermiera del reparto dove la donna stava seguendo delle terapie, non essendo a conoscenza della richiesta, invece che contattarla sul telefono cellulare privato, aveva chiamato il numero di casa registrato nell’anagrafe aziendale, parlando così con un familiare.
Anche in questo caso, l’Azienda ha riconosciuto gli errori che hanno causato il data breach. Si è impegnata quindi ad implementare un sistema informatizzato di gestione dei numeri di telefono dei pazienti ricoverati, e a predisporre una modulistica unica con la quale i pazienti potranno esprimere la loro eventuale volontà di comunicare informazioni sul proprio stato di salute ai terzi, introducendo una specifica policy aziendale. La Asl, che ha subito anche una richiesta di risarcimento danni da parte della paziente, dovrà pagare una sanzione di 50.000 euro per la violazione del Gdpr.
Alla luce di questi episodi e di altri ancora in corso di valutazione, il Garante ha ricordato che le informazioni sullo stato di salute possono essere comunicate a terzi solo sulla base di un presupposto giuridico o su indicazione della persona interessata, previa delega scritta. E ha invitato tutte le strutture sanitarie al pieno rispetto dei principi di correttezza e trasparenza, adottando misure tecniche e organizzative utili non solo a proteggersi da attacchi informatici, ma anche a evitare violazioni di dati personali, in particolare quelli più delicati, come quelli sulla salute - troppo spesso causate da inadeguate procedure gestionali.
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