di CLAUDIA CONIDI RIDOLA
Pur essendo ormai legge, l’uso dei telefoni cellulari in carcere, è cosa che avviene ormai in modo del tutto indisturbato, pur essendo ciò assolutamente proibito e sanzionato penalmente.
In materia di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ,è stata infatti introdotta una normativa che prevede una pena da 1 a 4 anni per chi introduce o detiene telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione all’interno di un istituto penitenziario.
Le nuove norme prevedono un rafforzamento delle sanzioni applicate in caso di comunicazioni dei detenuti sottoposti all’articolo 41-bis dell’Ordinamento Penitenziario.
Inoltre la pena è stata inasprita nei riguardi di chi agevola le loro comunicazioni con l’esterno: in questi casi, dagli 1-4 anni la pena è stata aumentata ai 2-6 anni. Inoltre, se il reato è commesso da un pubblico ufficiale o da un avvocato, la sanzione è lievitata dai 2-6 anni a 3-7 anni.
Ma il fascino dei social network quali Tik Tok, Instagram e Snapchat e degli strumenti atti a “praticarli”, ovvero gli smartphones di uso quotidiano ormai per tutti , bambini compresi, non risparmia i detenuti, che dall’alveo degli istituti di pena in cui sono reclusi, senza alcun problema, così come nell’assoluta indifferenza del resto del mondo, direzione carceraria ed Autorità di Sorveglianza compresa, diventano così protagonisti e veri e propri “creators” di storie in cui raccontano la propria vita in cella, ma non solo.
Ciò che fa più pensare è che questo fenomeno ormai di portata “pubblica” non pare destare la perplessità di nessuno, nonostante l’ assoluta e palese violazione di legge che ciò comporta, nonché la pericolosità che ne deriva.
I creators detenuti cercano così di costruirsi dei ponti verso l’esterno, una vera e propria evasione più reale che virtuale, dal momento che l’uso del cellulare consente loro di fatto, la possibile comunicazione in tempo reale con le realtà più remote, così come è altrettanto vero che i capi delle organizzazioni criminali impartiscono ordini con i telefonini senza lasciare traccia alcuna, con messaggi “cifrati” mascherati da semplici video tutorial, di ingannevole apparenza socio comunicativa ,così come le c.c.d.d. “baby gangs” risultano televideo comandate dai boss in cella.
L’uso illecito del cellulare in cella consente la messa in pericolo non solo della sicurezza all’interno delle carceri, potendo telepilotare sommosse inframurarie, ma altresì per la sicurezza all’esterno degli istituti penitenziari, potendo costituire il mezzo attraverso il quale continuare a gestire traffici illeciti, impartendo e ricevendo ordini , dunque alimentando di fatto anziché la risocializzazione e la rieducazione del condannato, la perpetuazione dell’attività illecita -
Mi permetto una considerazione che mi viene del tutto spontanea: i “pentiti” di mafia, invece, dal canto loro, non possono comunicare se non dietro autorizzazioni espresse dell’A.G. coi parenti stretti e se capita che in qualche processo gli stessi siano sentiti da un carcere nel quale risulta esservi recluso altro “collaboratore di giustizia” allora… Apriti cielo!!! Il sistema è tutto compromesso!!la prova è inquinata, il sistema è fallimentare e… chissà quale arcano potere consente tale spregevole realtà! Insomma l’attenzione diventa puro allarmismo.
Mentre qualcun altro magari, senza intraprendere la strada verso la legalità, indisturbatamente continua a delinquere dal carcere, nell’assoluta indifferenza degli operatori di diritto, anzi addirittura con la compiacenza di qualcuno.
*avvocato
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