“Questa indagine rappresenta un quid novi: per la prima volta è stato individuato un punto di contatto tra forme di criminalità ordinaria, dedite agli scavi abusivi e alla violazione delle norme a tutela del patrimonio culturale, e un’organizzazione di tipo mafioso”.
Lo ha detto il procuratore capo della Dda di Catanzaro, Salvatore Curcio, commentando l’esito dell’operazione dei carabinieri del Gruppo Tutela patrimonio culturale, che hanno eseguito 56 ordinanze di custodia cautelare emesse dai Tribunali di Catania e di Catanzaro nei confronti di altrettante persone responsabili, a vario titolo, di far parte di gruppi criminali dediti agli scavi clandestini e alla ricettazione di beni archeologici trafugati
(LEGGI QUI LA NOTIZIA). “Nella fattispecie si tratta — ha aggiunto Curcio — di un’organizzazione operante a Isola Capo Rizzuto. È stato individuato un soggetto riconducibile alla famiglia Arena che fungeva da collettore dei reperti recuperati attraverso gli scavi illeciti, con il compito di immetterli sui mercati nazionali e internazionali”.
Per Curcio “ormai è un fatto notorio che qualunque attività in Calabria capace di produrre ricchezza e un certo tipo di ricchezza, quindi anche il commercio di reperti archeologici finisca per attirare l’interessamento della ’ndrangheta. Bisogna conoscere a fondo il sistema mafioso. La peculiarità di queste organizzazioni — e non a caso parliamo di ’ndrangheta — è il capillare controllo del territorio e lo sfruttamento di tutte le risorse presenti in una determinata area geografica. Anche la criminalità cosiddetta ordinaria – ha rimarcato il procuratore capo della Dda di Catanzaro - può operare solo se autorizzata o tollerata dall’organizzazione di ’ndrangheta, dal ‘locale’ che esercita il controllo su quella specifica zona”.