Schlein al PD, Bianco: "Un “new deal” che non garantisce la governabilità"

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  03 marzo 2023 16:06

L’elezione di Elly Schlein, prima donna alla segreteria nazionale del Partito Democratico, disvela una situazione inedita, caratterizzata dalla presenza di due donne forti, la prima – Giorgia Meloni - a capo del primo partito e Presidente del Consiglio, la seconda a capo del maggiore partito di opposizione. La congiuntura attuale è particolare, se a questo si aggiunge, oltre alla Presidente della Consulta Silvana Sciarra, la recentissima elezione, da parte del plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, di Margherita Cassano a Primo Presidente della Corte di Cassazione, lo scranno più alto della magistratura italiana. Essendo personalmente contrario, da sempre, alla logica delle quote rosa, pur se giustificabili nella previsione di regolamenti di accesso a determinate assemblee legislative, non posso non esprimere il mio compiacimento per una presenza femminile particolarmente qualificata, perché dovuta non ad una mera appartenenza di genere, ma ad elementi sempre invocati come la competenza e le qualità funzionali.

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Ma venendo alla elezione della Schlein, la stessa è stata il frutto di un voto alle “primarie”, che hanno visto oltre un milione di persone recarsi ai gazebo su tutto il territorio nazionale. La questione non è di poco conto, se si considera che la neo Segretaria, dopo un periodo di lontananza, da poco si era (ri)avvicinata al Partito Democratico. Consentendo a chiunque e senza alcun filtro di potere votare, attraverso un metodo che considero quantomeno discutibile, si pone la seguente questione: qual è stato l’elettore-tipo di Elly Schlein? Ora, se da un lato questa elezione fa in un certo senso chiarezza di ciò che sarà la linea di direzione del nuovo Partito, con un inevitabile spostamento a sinistra e sempre più lontano da quella vocazione maggioritaria che  rappresentò il punto cardine del discorso di Veltroni al Lingotto nel 2007, è pur vero che la tipologia dell’elettore inevitabilmente sottopone all’attenzione la questione della investitura “interna” di una leader, prodotta da un meccanismo che ha legittimato il voto di persone totalmente estranee (e forse in contrapposizione) allo stesso Partito Democratico. Non è un caso, se l’Istituto di sondaggi diretto da Antonio Noto ha accertato che il 22 per cento degli elettori proviene dall’area grillina, quindi un elettore su cinque, con una conseguente sovrapponibilità di parte dei due elettorati di riferimento. E’ quindi certificato che non è stato un voto “garantito” da tutti gli appartenenti al Partito, dal momento che esprime sostanzialmente una volontà contraria, rispetto a quella manifestata dalla maggioranza degli iscritti al Partito Democratico stesso. Questo è un fatto incontrovertibile, che non può non produrre conseguenze. La prima è la tenuta della compattezza di un soggetto politico, il cui Segretario è stato deciso e voluto da elementi “esterni” al medesimo. Questo si riverbera innanzitutto sulle scelte di fondo, non essendo un fatto secondario. Ora, non vi è alcun dubbio che una donna appassionata di 37 anni, contigua al mondo pacifista, al vertice della sinistra italiana rappresenti una grande novità. Ma, in egual modo, non vi è alcun dubbio sulle diverse sensibilità esistenti, rispetto a quelle registrate fino a qui nel Partito Democratico su grandi tematiche di fondo. Mi riferisco, con tutta evidenza, alla posizione assunta nei confronti della guerra in Ucraina e, più in generale, ai temi internazionali delle alleanze, dei rapporti con la NATO, della intera posizione atlantista e all’emergenza climatica. La stessa diversità di posizioni, all’interno del Partito Democratico, è riscontrabile nella considerazione di questioni “domestiche”, come il lavoro, le questioni afferenti le unioni tra coppie dello stesso sesso e via dicendo. Elly Schlein fino ad ora ha avuto gioco facile, avendo parlato da candidata alla Segreteria, ma da Segretario del Partito dovrà tenere conto di più aspetti e soprattutto delle diverse anime interne, per cui è determinante attendere come declinerà le sue sensibilità. Diventare punto di riferimento della sinistra italiana e, chissà, forse della sinistra europea (ne ha le potenzialità) è un tratto di modernità che, però, facciamo attenzione, non rappresenta un automatismo della capacità di governo dei processi contemporanei e dell’intero Paese. Non intendo qui scomodare la nozione di “grande centro”, locuzione più che inflazionata, intorno alla quale si aprirebbero secondo alcuni analisti quelle praterie tanto invocate. Tali fantomatiche praterie, che fisiologicamente potrebbero avere ragione di esistere, richiedono innanzitutto credibilità e coerenza di posizioni, non facili opportunismi del momento. Ma non vi è dubbio che la nuova “gestione” dei Democratici si preannuncia più radicale e più lontana dallo spirito che ha animato la nascita del Partito stesso, il quale aveva l’obiettivo (mancato) di fondere le due diverse culture di riferimento. La volontà di fare coesistere la tradizione riformista con quella cattolica (la quale ultima non è una corrente, ma una grande ispirazione ideale), pur se soffocata sul nascere da un correntismo esasperato, aveva il pregio di una visione che ascoltasse e rispondesse alla variegata complessità delle istanze collettive. Questo succede nei partiti che si collocano nella grande famiglia del riformismo europeo. Sono fortemente convinto che da posizioni estreme non si governano i problemi complessi del nostro tempo, a meno di tradire integralmente tutto ciò che si sbandiera in campagna elettorale, per captare il c.d. voto di pancia che, facendo leva su un malessere diffuso, caratterizza determinata parte della collettività. In definitiva, una sia pur comprensibile machiavellica “ragion di Stato” dovrà fare i conti con una coerenza di fondo. La teoria del contrattualismo di Hobbes e Locke, che collega il fondamento del potere politico ad un accordo (espresso o tacito) tra più individui, si fonda su quel “contratto sociale” tra governanti e governati, che implica obblighi precisi per ambedue le parti. Certamente per i primi esiste l’obbligo di coerenza nelle scelte e nella visione di una società. Considerando, per un istante, un riferimento al triste fenomeno dell’immigrazione, dopo avere assistito alla incredibile strage di Steccato di Cutro, mi chiedo cosa sia rimasto oggi del c.d. “blocco navale”, rimedio sbandierato come vessillo identitario da Giorgia Meloni, prima che assumesse l’attuale posizione di responsabilità di Governo. A tacere delle posizioni assunte storicamente dall’attuale Premier, nei confronti dell’Europa e della situazione economica, nella misura in cui si assiste quotidianamente ad una politica economica sempre più influenzata dal pensiero europeista di Mario Draghi. Impensabile fino a pochi mesi fa. In questo contesto, la posizione di Elly Schlein è certamente idonea a riportare alle urne i delusi della sinistra e a mobilitare i giovani. Ciò può consentire al suo Partito di conseguire una buona affermazione alle Europee del prossimo anno, nelle quali, essendo governate da un proporzionale puro, avrà grande peso il voto di opinione. Ma, la nuova leader credo sia meno adatta a costruire una coalizione vincente nei numeri. Solo una sinistra capace di recuperare, oltre che il ceto popolare, anche una frazione di voto moderato, che aveva guardato prima a Prodi e poi a Renzi, può pensare di avere una determinata capacità di rappresentanza. Viste le premesse, è legittimo il beneficio del dubbio. Dunque, allo stato è tutto riscontrabile nel mondo delle buone intenzioni. Detto ciò, considerando la percentuale sempre crescente dell’elettorato che diserta le urne, pur nella polarizzazione di un voto che io giudico residuale nei numeri, ritengo che la gran parte dell’elettorato italiano, ancorchè demotivato, sia molto distante dalla logica degli estremismi.

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                                                                                                                                                        Avv. Francesco Bianco

 

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