“Scioperiamo perché siamo profondamente insoddisfatti dalle politiche dei precedenti governi ma anche e soprattutto di questo governo sulla sanità. Intanto, vorrei dire che sicuramente lo sciopero ha provocato dei disagi, nel senso che milioni di visite e interventi programmati sono stati cancellati ma non certo le urgenze. Contestiamo quanto dichiarato in maniera maldestra se non improvvida da un noto accademico infettivologo, frequentatore abituale più di salotti televisivi vespiani che di corsie. In sostanza dire che lo sciopero è prerogativa dei ferrotranvieri o dei metalmeccanici svilisce e umilia queste categorie, cui va il nostro rispetto, ma anche il ruolo dei suoi colleghi medici. Non si divertono a scioperare, peraltro con pesanti ripercussioni economiche sulla busta paga di un giorno di sciopero, ma sono costretti a farlo come forma estrema di protesta che sarà replicata da colleghi di altre sigle il 18 dicembre e probabilmente nel mese di gennaio potremmo fare due se non tre giornate consecutive di sciopero se l’andazzo non cambia. Questo dà la stura dell’esasperazione, che nasce non certo dalla norma sulle pensioni ma sostanzialmente dalle condizioni di lavoro ormai disumane dei colleghi medici dipendenti e dal fatto che essi scappino dalle corsie degli ospedali per andare negli studi privati, grazie a un trattamento fiscale di assoluto favore". Così Filippo Larussa, componente dell'esecutivo nazionale dell'Anaao Assomed, commentando lo sciopero odierno degli operatori sanitari.
IL DIFFERENZIALE FISCALE CON I MEDICI CHE LAVORANO NEL PRIVATO
"Prendiamo due ipotetici gemelli, entrambi medici e specialisti nella stessa disciplina. Il primo che lavora nel pubblico è costretto al lavoro notturno, trascorre 3 weekend su 4 non con la famiglia ma a lavoro. Questo stesso collega è sottoposto a turni aggiuntivi (non pagati il più delle volte), non riesce ad andare in ferie programmate per più di 4 o 5 giorni (spesso d’estate) sebbene gliene tocchino 15 a causa delle carenze di organico e per non interrompere il pubblico servizio. Dulcis in fundo viene tassato con un’aliquota marginale del 46%. Il collega gemello, che lavora nello studio privato, dispone liberamente del suo tempo, lavora molto meno perché non ha bisogno di 40 a settimana ma gliene bastano 15 perché il suo trattamento fiscale con la flat tax è del 15%. Oggi ho sentito una frase molto grave proferita dalla premier ad un’associazione di commercianti: ‘Noi siamo quelli che non vogliono tartassare fiscalmente quelli che producono’. Quindi, debbo ritenere che chi paga il 46% di tasse non è tartassato? Oppure che noi non produciamo oppure che noi siamo dei parassiti? I dipendenti pubblici sono considerati un peso e un fastidio".
LA CASSA DEI MEDICI VERSO 7 MILA MILIARDI DI LIRE. SIAMO ATTENTI ALL'EQUITA' PREVIDENZIALE
"Veniamo al discorso previdenziale che, ripeto, non è la ragione dello sciopero. Dispiace aver letto considerazioni banali da un esperto di previdenza, come il dott. Cazzola. Quando si parla di equità previdenziale, siamo molto attenti. Intanto diciamo che la misura, che non riguarda solo i medici ma altre categorie importanti quali i funzionari comunali (che stanno scappando, assieme a quelli delle Province e delle Regioni mettendo a rischio i progetti del PNRR). Vorrei ricordare agli smemorati che nel 1994 la cassa pensione sanitari, che era il nostro ente pensionistico autonomo per istituire l’INPDAP, che raccoglieva tutti i dipendenti pubblici, versò il sangue alla patria. E il sangue era 7 mila miliardi di vecchie lire, attualizzati oggi sarebbero 5 miliardi. Con la promessa che avremmo mantenuto il trattamento pensionistico. Oggi questa promessa è stata rimangiata. Ho colleghi che hanno speso 150 mila euro per riscattare 10 anni tra laurea e specializzazione e non sanno che farsene con queste penalizzazioni. Hanno preso la fregatura del secolo. Comunque, la misura riguarda il 50% della categoria, l’altro 50% è con il sistema contributivo e non è interessato. L’equità previdenziale è strettamente collegata a quella fiscale. Questo è un Paese in cui, lo dice il Censis, 7 milioni di trattamenti pensionistici sono erogati senza adeguata contribuzione previdenziale: uno versa 10 e riceve 20. Vogliamo dire che una parte di questi trattamenti sono legati al fatto che alcune categorie hanno dichiarato poco e versato contributi previdenziali ancora minori. Se alcune categorie di commercianti non rilasciano lo scontrino nemmeno sotto minaccia armata dichiara mille euro lordi di introiti versa contributi previdenziali per mille euro. E la pensione sarà molto più bassa. Questo è un problema legato ai 90 miliardi di evasione ed elusione".
IL NODO DEPENALIZZAZIONE
"Un altro nervo scoperto per la categoria è il problema della depenalizzazione dell’atto medico. Anche qui notiamo un certo strabismo governativo. Alcuni mesi fa il ministro Nordio ha istituito una commissione di alto prestigio, peraltro presieduta da un mio concittadino il magistrato in quiescenza Adelchi d’Ippolito, proprio per studiare questo dossier, che al mondo hanno soltanto Italia, Lituania e Polonia. Ogni anno ci sono 200 mila richieste di procedimento penale e di queste meno dell’1% si conclude in maniera positiva e questo su 28 milioni di prestazioni annue. Il contenzioso penale riguarda una minima parte delle prestazioni e di questo contenzioso una minima parte termina con una condanna. D’altra parte, è di 5 miliardi il danno derivante dal terrore dei medici di incorrere in un procedimento penale e, ricordo, noi non vogliamo l’abolizione del risarcimento civile, pur se non mi pare che tutte le categorie di pubblici dipendenti risarciscano i loro errori. Ad esempio, le aziende calabresi vanno con l’auto-assicurazione che funziona così: io accantono 5 milioni di euro sperando che non succeda nulla, se succede qualcosa in caso di sforamento del tetto la Corte dei Conti chiede ragione al medico".
LA POLITICA E IL 'MODELLO' DECRETO CALABRIA
"Non è il primo sciopero che facciamo, oggi notiamo la solidarietà dei partiti di minoranza, che però quando erano saldamente al timone si sono guardati bene dall’intervenire a sostegno della categoria. Questo meccanismo si replica con il Decreto Calabria. È stato uno strumento legislativo definito nel mitico Consiglio dei ministri del governo giallo-verde (M5S-Lega) come eccezionale e misura temporanea. Sono passati cinque anni e sta ancora in piedi, sostenuto e approvato da tre maggioranze diverse. Fatto sta che il Decreto Calabria considerato il padre di tutti i mali è stato di fatto votato e tenuto in vita da tutte le forze dell’arco costituzionale che siedono in Parlamento. Quando il prof Aiello mostra le foto dei barellati al pronto soccorso di Cosenza, i primi a sentirci umiliati siamo noi. Un medico, che ha fatto il giuramento di Ippocrate, prova piacere in quelle condizioni i malati? E’ grazie al Decreto Calabria e alle misure fatte in quindici anni sulla sanità che i posti letto per acuti pubblici in Calabria sono l’1,6 per mille. Questa percentuale ce l’ha la Macedonia del Nord, con tutto il rispetto. I numeri dicono sempre la verità. Si parla di assumere medici, a parte che dovrebbe essere eliminato un tetto che risale al 2004, ma il problema è che si continua a dare acqua a un cavallo che non vuole bere. La Regione Calabria ha fatto una legge sulle prestazioni aggiuntive a 100 euro l’ora, parificando quindi ai gettonisti. I colleghi non lo accettano perché non riescono a lavorare 60 ore a settimana per vedersi questi compensi falcidiati dalle tasse. Perché le specializzazioni che vanno deserte sono chirurgia o rianimazione o dell’urgenza e perché quelle più richieste sono dermatologia, chirurgia plastica, oculistica? Noi specializziamo medici che non assorbiamo negli ospedali. È come quando Alitalia addestrava i migliori piloti al mondo che poi un mese dopo la fine del corso andavano a lavorare in Air France o in Lufthansa, che ringraziavano perché risparmiavano e avevano i migliori piloti del mondo alle spese di Alitalia. Chiediamo al governo una politica che inverta drasticamente la rotta, altrimenti i 600 milioni di euro per l’abbattimento delle liste di attesa destinati alla sanità privata sono un chiaro messaggio: è pronta l’alternativa alla sanità pubblica. Il privato accredito in Calabria non ha un posto letto di pronto soccorso, ricovera pazienti che decide lui, quando le cose si complicano dopo un intervento dove vengono poi mandati? Nel pubblico".
L'ULTIMO APPELLO AL GOVERNO REGIONALE
"Seguiamo attentamente questi temi e lo diciamo alla politica regionale, il sindacato che rappresento non si è mai messo di traverso. Non lo ha fatto sui medici cubani, anche se non è la soluzione definitiva del problema, abbiamo apprezzato il tentativo di assumere attraverso il concorsone regionale, fermo restando che i numeri non sono quelli prospettati all’inizio (conta chi prende servizio non chi fa la domanda), quando poi si perde tempo con iniziative come sanibook o con i rilevatori di umanizzazione che vagano nelle corsie, laureati che vengono pagati 500 euro al mese. Se si pensa così di dare ossigeno e motivazione agli operatori sanitari credo che non si vada da nessuna parte".
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