"Senza voce", Azzarito Cannella racconta la storia di Aysha: "Non è sempre come sembra"

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images  "Senza voce", Azzarito Cannella racconta la storia di Aysha: "Non è sempre come sembra"

  03 maggio 2023 10:09

di MARCO  AZZARITO CANNELLA

 La storia senza voce di oggi è quella di Aysha, una giovanissima ragazza nigeriana che ho conosciuto qualche anno fa, nel carcere di (sceglietene uno, io non posso scriverlo).

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Non so cosa le ha riservato il futuro, ma ricordo bene i suoi occhi quando abbiamo avuto il nostro primo colloquio. Erano gli occhi di una donna triste, senza speranza, rassegnata al suo destino.

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Aysha scontava una pena definitiva per favoreggiamento della prostituzione, pena che non sono riuscito a farle cancellare nonostante risultasse evidente che di quel giro di malaffare Aysha non ne facesse assolutamente parte.

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L’ha inchiodata una sua confessione, resa in pubblica udienza, nella quale ammetteva di essersi impegnata personalmente per garantire, alla sua magnaccia, giovani donne da destinare al meretricio.

Non era vero, ma tanto è bastato per una condanna, mai appellata e praticamente impossibile da smontare con una revisione.

Ciò che ho potuto fare per Aysha è stato soltanto farle ottenere qualche beneficio penitenziario e, la possibilità, di farla vivere insieme alla propria bambina di quasi due anni che pensava di aver perso per sempre.

Ci vorrebbe un corsivo a parte per raccontarvi come abbia fatto a rintracciarla, ma il sorriso e le lacrime di Aysha quando ha potuto abbracciare la sua Lewa hanno ripagato tutta la fatica fatta.

Non lo faccio mai con i miei clienti, ma quella unica volta ho fatto un’eccezione e le ho chiesto perché. Perché avesse fatto quella falsa confessione e si fosse ostinata a non ritrattarla mai, nonostante sapessimo entrambi che la verità fosse un’altra.

Ha aspettato che la bambina uscisse dalla stanza e mi ha raccontato la sua storia. Mi ha detto di quando, poco dopo essere diventata donna, la sua famiglia l’ha venduta ai mercanti. Di come l’abbiano stuprata a turno, senza preoccuparsi troppo di avere davanti una bambina o poco più.

Mi ha raccontato delle botte, degli insulti, delle violenze e delle torture.

Mi ha raccontato di come sia stata spedita in Italia, illusa da una donna che aveva avuto il suo triste destino e di come sia finita a battere sulle strade. Di quante cinghiate e di quanti schiaffi ha dovuto sopportare quando ha scoperto di essere incinta. Di come è scappata dai suoi aguzzini e di come è sempre stata trascinata al suo posto. Sulla strada.

Mi ha raccontato di come il carcere per lei fosse un posto sicuro. Il più sicuro che avesse mai avuto nella sua vita. Nella sua e in quella di sua figlia. E non ha mai smesso di ringraziarmi per quel poco che sono riuscito a fare.

Quando è uscita dalla sua cella, mi ha chiamato. Mi ha detto che, grazie ai servizi sociali, aveva trovato una sistemazione in una casa famiglia e che avrebbe aiutato le altre, quelle come lei, a non fare i suoi stessi errori.

Ho ancora il suo numero in rubrica. Non l’ho mai usato.

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