di MARCO AZZARITO CANNELLA
La storia che state per leggere è una di quelle che stringono il cuore. È il racconto di una vita segnata da un errore che ha privato per sempre un padre dell’affetto del proprio figlio.
È, probabilmente, uno dei più brutti capitoli della mia carriera professionale, iniziato male e finito anche peggio.
Mario è stato uno dei miei primi clienti. Non è mai stato uno stinco di santo, ma nemmeno un diavolo in terra.
Ha fatto i suoi sbagli, come tutti, ma uno l’ha pagato a caro prezzo.
Per anni è stato dipinto come un mostro dalla sua ex moglie. La sua famiglia lo ha ripudiato e il suo unico figlio non l’ha mai voluto incontrare. Non vi scriverò di quale reato è stato accusato Mario, né svelerò mai la sua identità. Posso raccontarvi, invece, di quanto sia brutto leggere un casellario giudiziale, con impresse le parole che un avvocato non vorrebbe mai leggere: fine pena mai.
Posso raccontarvi, anche, di quanto sia ancora più brutto, sentire con le proprie orecchie, una persona condannata al carcere a vita, dire che la sua pena più grande non è quella che deve scontare nell’istituto di detenzione, ma quella di non sapere come sia diventato suo figlio, perché l’unica foto che possiede è quella di quando era ancora un neonato. Ho provato a mettermi in contatto con la famiglia di Mario.
Ho anche incontrato, una volta, suo figlio, ma non sono riuscito a convincerlo a richiedere un colloquio. Nemmeno quando gli ho parlato della brutta malattia del padre e del poco tempo ancora a sua disposizione.
Mi è toccato l’ingrato compito di riferire a Mario le parole di un figlio che lo disconosceva. Ho provato a farlo con tutta la delicatezza del mondo, ma Mario non era uno sprovveduto. Quando ha capito come stavano le cose, ha deciso di abbandonare tutto, comprese le istanze che stavamo coltivando nella vana speranza di riuscire a fargli mettere il naso fuori dalla cella, almeno per i suoi ultimi mesi di vita.
Ho insistito, mi ha chiesto di non andare più a trovarlo. Con minaccia di revoca immediata del mandato difensivo. Mario è morto solo, tra le mura di un carcere lontano. Mi ha fatto recapitare due lettere.
Ho letto la mia ed ho provato, in tutti i modi, a far leggere al figlio la sua. Ho fallito di nuovo. Ma questo Mario lo sapeva già. Mi ha scritto di bruciare la busta gialla, passato un anno dal suo arrivo. Non è stato necessario scrivermi di non aprirla. Sapeva che non l’avrei mai fatto.
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