'Senza Voce', la disperazione di un padre e quelle parole che non ho detto

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  10 maggio 2023 13:43

di MARCO AZZARITO CANNELLA

Ho incontrato per la prima volta Pasquale una sera di primavera, davanti alla porta della guardia medica di Serra d’Aiello.

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Non faceva ancora così caldo da poter uscire senza qualcosa sulle spalle, ma la temperatura era abbastanza mite da poter indossare qualcosa di leggero. Spirava un venticello gradevole e nell’aria si sentiva il profumo delle belle di notte.

Come ogni sera, in quel periodo, sono sceso dalla macchina e ho accennato un saluto a quello che, dopo qualche anno, sarebbe diventato il mio medico di famiglia e un amico con il quale scambiare opinioni sulla nostra squadra del cuore, il Milan.

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Di quel mio primo incontro, però, ricordo soltanto il suo viso, segnato dalla disperazione e da un numero imprecisato di lacrime.

Non so se capita anche a voi, ma quando mi ritrovo in una situazione del genere – e posso assicurarvi che mi capita abbastanza spesso – avverto una sensazione di profonda angoscia e sono sempre combattuto tra il fare e il non fare.

Non so mai se la cosa giusta è quella di avvicinarsi e chiedere come poter essere d’aiuto oppure se non intromettersi nella vita privata di uno sconosciuto.

Quella volta, limitando il mio istinto, ho deciso di seguire la seconda strada e, con il senno del poi, non so se ho preso la decisione sbagliata.

Certamente non sarei stato in grado di trovare le parole giuste. Come essere di conforto ad un padre, medico, al quale hanno appena confermato che la propria bambina, di appena cinque anni, è affetta da una malattia così grave da sembrare incurabile, esula dalle mie capacità.

Posso solo immaginare, e nemmeno così bene, cosa si prova a sapere che la persona a cui tieni di più al mondo, potrebbe non esserci più da un giorno all’altro, senza che tu possa fare nulla per impedirlo. E quanto sia difficile credere a chi dice che andrà sicuramente tutto bene, quando sai perfettamente che non sarà così, perché, diavolo, tu sei un dottore in medicina e chirurgia.

Io non sono (ancora) un papà e non sono (e non sarò mai) un medico.

Non so come Pasquale sia riuscito a reggere un peso così greve e, onestamente, spero di non doverne mai sopportare uno simile.

Quello che so è che ammiro profondamente il modo in cui Pasquale ha saputo reagire ad uno degli eventi più tragici che la vita ti può riservare.

Avrebbe potuto abbattersi o avrebbe potuto mascherare il suo dolore e farsi sconfiggere dai suoi aculei. Invece no. Ha saputo combattere, mostrandosi per quello che è.

Un uomo come tutti, con giorni brutti (bruttissimi), giorni meno brutti e giorni bellissimi.

Ha avuto prova diretta che nella vita non conta essere medici, avvocati o ingegneri della Nasa e che è la qualità del nostro tempo a fare la differenza, non la quantità.

Pasquale, perdonami per non essere riuscito a dirti nemmeno una parola quella sera. Non sapevo dove trovarle e, soprattutto, dove cercarle. Oggi, qualcuna sono riuscito a metterla nero su bianco, e spero davvero che il futuro ti riservi un po’ di quella serenità che il passato non si è fatto scrupoli e a toglierti.

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