di SERGIO DRAGONE
Calabrexit, la Calabria che si stacca dall’Italia. La grottesca suggestione di Antonio Albanese, nuovamente calato nei panni di Cetto La Qualunque, fa riflettere. E’ molto meno stupida di quanto non appaia. Brexit o meno, la Calabria è già da decenni fuori dall’Italia, tagliata fuori da tutti i circuiti economici e decisionali, ultima tra le ultime. La Calabria per lo Stato, per i Governi, per i partiti politici è quasi un fastidio. Avete fatto caso a tutte le dichiarazioni e le note politiche di queste settimane ? Quando si parla di elezioni regionali, si parla solo di Emilia Romagna. In qualche caso di Emilia Romagna e Calabria, ovviamente in ordine di importanza.
La Calabria povera, la Calabria cenerentola d’Europa, la Calabria che produce solo debito pubblico, la regione dove l’unica “industria” che funziona è la ndrangheta.
Un’immagine devastata e devastante. Calabrexit c’è già, sia pure al rovescio. Si ha quasi il senso della espulsione dal contesto sociale e culturale del nostro Paese.
Ed ecco allora il compito sovrumano – e onestamente proibitivo – per chi sarà chiamato a guidare la Calabria nel prossimo quinquennio: fare rientrare la Calabria in Italia e in Europa. La Calabrexit all’incontrario.
Non ci sarà bisogno di un referendum. Ci sarà bisogno di un lavoro straordinario, mai visto in precedenza, di recupero dell’immagine e della credibilità di questa nostra terra. Dovremo dimostrare che siamo capaci di spendere bene e di tradurre i finanziamenti in opere e in imprese. Dovremo dimostrare di essere onesti ed efficienti. La sfida si giocherà tutta sull’efficienza, sulla velocità, sull’essere in sintonia con i tempi.
Dovremo essere custodi orgogliosi e gelosi della nostra storia e delle nostre tradizioni, senza chiuderci alle novità e alla globalità del mondo che ci circonda.
Sembrano parole fatte, retoriche, forse inutili. E’ vero, ma almeno proviamoci a rientrare in questa Italia e in questa Europa. Albanese-Cetto se ne farà una ragione.
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