Da pochi giorni si è tenuto presso la Cittadella di Catanzaro un incontro tra il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto, il garante Nazionale dei diritti delle persone private della Libertà Felice Maurizio D’Ettorre e il Direttore del centro clinico di sanità penitenziaria Dott. Giulio Di Mizio, al fine di rafforzare e prevenire con interventi diretti, la medicina penitenziaria della regione Calabria.
Ormai da tempo, afferma il Vice-Coordinatore SiNAPPe Cristina BUSA’, si assiste ad un crescente aumento di detenuti con problemi psichiatrici che, nel caso della regione Calabria trovano un adeguato riparo unicamente nel penitenziario di Catanzaro, gravando sul personale di polizia penitenziaria, che oltre a non aver mai ricevuto una adeguata formazione sul trattamento dei detenuti con problematiche di natura psichica, deve fare i conti con una pianta organica desueta e che allo stato attuale è carente di circa 100 unità. Dapprima, sul territorio Calabrese, erano previste due “Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale” all’interno degli istituti penitenziari di Catanzaro e Reggio Calabria, ma quest’ultimo progetto non è mai stato portato a compimento, creando così un sovraffollamento nel penitenziario di Catanzaro, che molto spesso vede allocati nelle sezioni ordinarie ristretti con patologie psichiatriche, ed una distribuzione nei restanti penitenziari della Regione che non dispongono dei necessari strumenti per fronteggiare alle
imprevedibili e violente situazioni che quotidianamente si presentano. E’ questo il caso del penitenziario di Vibo Valentia, continua il Vice-Coordinatore Sinappe Cristina Busà’, nel quale da parecchio tempo la figura dello Psichiatra, che dovrebbe trattare con adeguatezza le psicopatologie dei pazienti ristretti, è quasi una chimera! Il carcere di Vibo Valentia conta una pianta organica carente di numerosissime unità, problematica alla quale si aggiungono poi i provvedimenti di sorveglianza a vista su disposizione dell’Autorità Giudiziaria o per motivi sanitari sovraccaricando di lavoro il personale di Polizia penitenziaria presente, che ormai è allo stremo, al limite
dell’esasperazione.
Infruttifere le diverse disposizioni Dipartimentali sull’attuazione della Sorveglianza a vista
che riportano espressamente che trattasi di competenza medica e non custodiale, fissando che “Il ricorso al controllo a vista deve intendersi quale misura eccezionale, limitata nel tempo e adottata solo se prescritta, in quanto giustificata nella sua necessità, da personale medico che assumerà, nel contempo, l'onere di seguire costantemente il detenuto sino alla redazione di un programma terapeutico specifico nel quale siano precisate le azioni di intervento assegnate alle diverse aree, compresa la sorveglianza, con l'obiettivo non solo di prevenire azioni autolesionistiche, ma anche di stimolare la crescita del senso di responsabilità del soggetto a rischio”, e che invece continuano a gravare totalmente sul personale di Polizia penitenziaria.
“Pressappoco identica la situazione che si registra nel penitenziario di Reggio Calabria
Arghillà, afferma il Segretario Provinciale Antonio Calzone, sia la struttura che la pianta organica del personale di Polizia Penitenziaria, inizialmente pensato come reclusorio, risultano insufficienti per la gestione dei detenuti comuni, anche un solo evento
critico o la gestione di detenuti con patologie psichiatriche, ormai distribuiti in tutte le sezioni detentive, compromettono lo svolgimento dell’attività lavorativa di tutto il penitenziario. Innumerevoli le aggressioni e gli eventi critici verificatisi ai danni del personale di Polizia penitenziaria, situazione che non può trovare risoluzione con una presenza in struttura di un medico psichiatra per poche ore settimanali.”
L’ insufficiente supporto psichiatrico negli Istituti di pena Calabresi, riprende il ViceCoordinatore SiNAPPe Cristina Busà, non è altro che lo specchio di quello che avviene nel mondo comune: le strutture e i posti disponibili non sono abbastanza per ospitare o prendere in carico persone con malattie psichiatriche, situazione che trova riscontro e si riflette nella difficile opera di risocializzazione delle diverse figure professionali che operano negli Uffici Esecuzione Penale Esterna (U.E.P.E.) di Catanzaro, Reggio Calabria, Cosenza, Crotone e Vibo Valentia.
Certamente apprezzabile l’iniziativa dell’Asp di Reggio Calabria rispetto alla sperimentazione della telemedicina all’interno dei Penitenziari della Provincia di Reggio Calabria, ma sicuramente opportuno, qualora si decidesse di estendere il progetto ad altre realtà, non perdere di vista l’unicità di ciascuna realtà penitenziaria rispetto all’attuabilità di ogni aspetto della Telemedicina, differenziando l’applicabilità soprattutto in quelle realtà che vedono ristretti detenuti tossicodipendenti, psichiatrici o affetti da pluripatologie ad elevato impatto assistenziale per i quali la presenza fisica di personale sanitario in ogni ruolo rivestito è fuor di dubbio indispensabile. Ci auspichiamo, concludono il Vice-Coordinatore SiNAPPe Cristina Busà ed il Segretario Provinciale SiNAPPe Antonio Calzone, che questi incontri possano portare all’applicazione di un sistema risolutorio del gravoso e persistente problema sanitario penitenziario, che non si perda di vista il personale di Polizia Penitenziaria ma soprattutto occorre esternare la domanda che tutti ci poniamo in questo momento: “in tutto ciò dov’è l’Amministrazione penitenziaria?”
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