Nel favoloso mondo della Regione Calabria non mancherebbe nemmeno il manager che si premia da solo. A dirlo è la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, che ha attestato come un "Dirigente generale reggente abbia provveduto ad (auto)valutare la propria (pregressa) performance di Dirigente di Settore per due distinte annualità (il 2011 e il 2013) attribuendosi un punteggio elevatissimo e, dunque, conseguendo la massima indennità di risultato". Il manager in questione, nonostante gli omissis della sentenza n.257/2020, è Bruno Zito, attuale dg del dipartimento "Organizzazione e Risorse Umane". Tuttavia Zito è stato condannato per fatti risalenti ai suoi incarichi nel dipartimento Tutela della Salute durante la legislatura Scopelliti.
Zito è stato alla guida di un settore del dipartimento Sanità e poi dal 16 ottobre 2013 direttore generale vicario. "Precisamente, in data 15 luglio 2014, rivestendo le funzioni di Dirigente generale vicario del Dipartimento - si legge nel dispositivo-, ha sottoscritto la scheda di valutazione afferente alla propria performance realizzata quale Dirigente del Settore per l’anno 2011, attribuendosi un punteggio pari a 98/100 e percependo così la liquidazione dell’indennità di risultato al 100%, pari ad € 20.889,21". Il secondo atto contestato è quello "in data 20.5.2015, sempre in qualità di Dirigente generale vicario del Dipartimento, ha sottoscritto anche la scheda di valutazione afferente alla propria performance realizzata quale Dirigente del Settore per l’anno 2013, limitatamente a dieci mesi, attribuendosi un punteggio pari a 98,50/100 e quindi percependo l’indennità di risultato al 100%, pari ad € 10.862,50". Il danno erariale contestato a Zito è pari a 6.350,34 euro, oltre gli interessi. Il calcolo deriva dalla differenza fra l'indennità di risultato che Zito avrebbe dovuto percepire, pari all'80%, rispetto a quella dell'autovalutazione, pari al 100%.
Secondo i giudici contabili, in casi del genere, vige "un generale dovere di astensione per i pubblici dipendenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi. La conseguenza è che l’inosservanza del generale dovere di astensione in presenza di un interesse proprio integra di per sé l’illiceità della condotta". La difesa del dirigente invocava l'assenza di una disciplina che regolasse la materia (poi è arrivato il comma 11 dell’art. 15 del Regolamento regionale n. 1/2014) e la mancata sussistenza del criterio della “doppia ingiustizia”. Ipotesi respinte in entrambi i casi dalla Corte. La seconda in particolare riguarda la configurabilità del reato, in sede penale, dell'abuso d'ufficio. "Per questi fatti - si legge ancora nella sentenza della Corte dei Conti- l’odierno convenuto è altresì sottoposto a un procedimento penale nell’ambito del quale gli si contesta il reato di abuso d’ufficio, per avere omesso di astenersi dal sottoscrivere le due schede di valutazione in presenza di una situazione di conflitto di interessi".
Tranciante il giudizio finale su Zito, "Dirigente regionale di vecchia data e dalla rilevante esperienza amministrativa maturata nella direzione delle articolazioni dell’Ente, in evidente violazione delle norme di legge e dei regolamenti disciplinanti la particolare materia, ha dunque omesso di astenersi in presenza di un palese interesse proprio. Ha siglato per ben due volte e nella doppia veste appena descritta la propria scheda valutativa, e questo è sicuro indice di una condotta improntata alla violazione e alla trascuratezza degli obblighi e dei doveri sussistenti nella gestione della cosa pubblica".
g.r.
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