di FRANCO CIMINO
I sondaggi sulle intenzioni di voto dei calabresi, pratica pseudo scientifica che io, per la loro capacità di condizionare il consenso, proibirei per molte più settimane di quelle previste prima delle elezioni, dicono che il centrodestra vincerà a mani basse il prossimo ventisei gennaio. Ai calabresi non servirebbe sapere chi sarà il candidato presidente, non la composizione delle liste e i partiti che le comporranno, con quali criteri e quali regole. I calabresi sembrano del tutto indifferenti rispetto al quadro di litigiosità e di odio vero all’interno dello stesso partito e tra i partiti alleati, estranei nei confronti delle ripetute violazioni di regole, leggi ed etica comportamentale da parte di esponenti di questi partiti. I quali tutti hanno giocato con le sorti della Calabria, trascurandola totalmente, dai principali comuni ai due palazzi della Regione, ovvero prendendosi beffa di scadenze, statuti e regolamenti elettorali, oltre che dei problemi. Ai calabresi non procura alcuna nausea la vista di una terra, la loro, svenduta da colori cui era stata affidata, sfruttata da tutte le più diverse mafie, comprata a due lire dai signori di Roma che la utilizzano ancora come banco di prova per i loro accordi, mercatino del piccolo consumo di ogni prodotto confezionato altrove che qui. Ai calabresi, non procura alcuna indignazione che a scegliere i candidati, e quindi la futura assemblea e il futuro governo regionale siano quattro o al massimo cinque persone che non conoscono la nostra terra, vivono stabilmente da Roma in su, e qui si affacciano rapidamente solo in occasioni elettorali per poi sparire, anche quando formano i governi e le scelte programmatiche di questi.
Questa Calabria sfinita, derisa, umiliata anche dalla insipienza e inaffettivitá dei suoi stessi figli, non muore per eccesso di stanchezza e neppure più per la saltuaria rianimazione cui la costringe un sistema che ha bisogno che essa non muoia per dimostrarsi caritatevole e solidaristico rispetto a un’Europa che guarda al nostro Paese con diffidenza e fastidio. La Calabria, insieme alle altre zone povere, è l’alibi che i nostri governanti si procurano a Bruxelles e a Parigi e a Bonn, per poter attrarre verso l’Italia comprensione e qualche miliardo di euro che saranno puntualmente dirottati altrove che da noi. Magari, come è più volte successo, verso il rifinanziamento di quel sottosistema bancario( vedi rifinanziamento da 900 milioni di euro alla Banca Popolare di Bari) che ruba per due volte i soldi degli italiani e per due volte li nega al credito di famiglie e imprese calabresi e meridionali. Questa Calabria, piegata sul suo antico dolore e obnubilata dalle continue promesse, spaventata dai poteri e occupata, manu militari, dalle mafie e dalle consorterie segrete ad esse alleata in loschi affari, non riesce più a pensare. Non più ad arrabbiarsi. Da sempre sospesa tra messianesimo e vittimismo, non sa reagire rispetto al peggio, ferma davanti al baratro neppure si interroga sulle sue sorti. Questa Calabria, non prova nulla rispetto al disfacimento delle istituzioni, dove sotterraneamente si muovono forze interne alla stessa magistratura, che, in molte delle sue parti, agisce, con propri uomini, anche taluni apparsi eroici e prestigiosi, come quella politica brutta che sta rovinando le istituzioni politiche e il senso del bene comune dei cittadini. Lotte di potere ovunque, lotte fratricide senza limiti, sgambetti e agguati professionali, delazioni e maldicenze, gettano un’ombra di sfiducia totale, che coinvolge anche la Giurisdizione, sempre più percepita, tranne quell’uomo sempre più in pericolosa solitudine, come una cosa non diversa dalle altre, un luogo dove si amministra il potere, anche quello della politica, forse più spregiudicatamente che in altri luoghi. In Calabria, accanto alla rassegnazione sosta immobile il sentimento più negativo, quello di cui parlava Corrado Alvaro quando diceva che non c’è nulla di peggio per un calabrese del sentire che vivere onestamente sia inutile. La solidarietà, bene primario della nostra cultura, ha lasciato il posto al neutralismo e all’invidia rovinosa dell’uno verso l’altro che solo si sospetti abbia solo un tozzo di pane o uno straccio in più. La Calabria dell’Amore sta per trasformarsi in terra arida dove cresce solo l’erba amara del rancore e del disprezzo. Se i sondaggi, strumentali a chi li commissione, oltre alle percentuali dei partiti, dicessero quella dei non votanti, si avrebbe un quadro esatto di ciò che con questo mio dire continuo vado affermando.
Di una Calabria cioè spaccata in due parti, ambedue egualmente disperate. E rassegnate a lasciare che chi l’ha rovinata, a destra al centro e a sinistra, continui a farlo, che nuovamente si prenda la bellezza che ancora le è rimasta. E, allora, che si prendano il mare e tutte le acque, la terra ancora verde, le colline ancora in fiore, le ridenti spiagge e i lussureggianti parchi e boschi. Si prendano tutta l’aria salubre e anche il cielo se proprio gli serve. Ma, ci lascino, mi sembra di sentirne l’eco, solo sopravvivere e la speranza di invecchiare e di poter vedere il ritorno dei nostri figli. Fateci credere che siano tornati per sempre, ché chiuderemo gli occhi quando l’indomani riprenderanno ad andare. E, invece no, diremo altro, chiaro e forte? Questo: Calabria, abbi uno scatto d’orgoglio, di coraggio, fosse soltanto d’ira. Emana un canto di lotta, un urlo di battaglia, o anche soltanto un grido di dolore. Fatti sentire, ché questo basta. A farli correre, quanti ti hanno ingannato, a gambe levate, ché i forti di oggi sono solo dei vigliacchi che prosperano sulla debolezza dei poveri e il pianto nascosto degli uomini soli. Lancia un solo urlo, che svegli le coscienze sopite e l’intelligenza dei calabresi che hanno fatto grande e bello il mondo.
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