"Sono tornato al tuo portone e ti ho rivista sorridente sul manifesto". Il toccante ricordo di un volontario della Protezione civile e di una lettera consegnata a mano

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Un operatore della Protezione Civile
  08 maggio 2020 15:49

di FRANCESCO IULIANO

SONO tante le storie, gli episodi, gli avvenimenti nei ricordi di chi, in questi mesi di emergenza, ha operato in prima linea. Storie private, talvolta intime, che lasciano il segno. Esattamente come è successo ad un volontario del Gruppo comunale di Protezione Civile di Catanzaro che ha voluto raccontare le sue emozioni nel ricordare una persone che, purtroppo, non ce l’ha fatta. 

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«Ti ho conosciuto in una calda mattina di maggio. Ricordo ancora la mia telefonata con tua sorella. Un colloquio forte e accesso. Ti dovevo recapitare un piccolo pensiero da parte di qualcuno. Il mio dovere era solo quello di consegnarlo nelle tue mani. Ricordo ancora un nome, a me sconosciuto, scritto su una busta con affianco il tuo numero di telefono. Le parole di tua sorella, mi rimbombano ancora impietose nella testa. “Mia sorella non può scendere, ieri ha fatto il suo ciclo di chemio".  Parole alle quali è seguito il mio silenzio. “Mi perdoni signora – le ho detto - io devo parlare con sua sorella.  Comprendo quello che mi dice, ma io posso parlare solo con lei. Mi capisca. E’ la prassi di questa maledetta privacy”.

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Poi la telefonata. Ricordo ancora la tua voce affannata che mi ripete che proprio non ce la fai a scendere ed io che ti dico che vedrò come organizzarmi. Tornato in macchina incontro lo sguardo del mio collega che mi chiede cosa stesse succedendo. Chiamo allora il mio capo che, con voce disponibile ma decisa, mi dice che non può assolutamente obbligarmi a rischiare, non conoscendo il quadro clinico della signora. Pochi minuti e decido di indossare il giubbotto e tutte le protezioni del caso. Nella mente continuavo a ripetermi se fosse giusto quello che stavo facendo. All’interno della mascherina  il respiro era sempre più pesante. Cambio i guanti in lattice, apro la portiera della macchina e salgo a casa tua. “Signora, sono sempre io – dico a tua sorella -. Salgo. Mi apra“. “Venga, mi dice non appena aperta la porta“.

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Entro in casa. Nella tua stanza, l’aria era pesante. Un filo di luce entrava dalle tapparelle abbassate. Respiravo a fatica, ero teso. “Buongiorno signora“. Mi hai risposto alzando la tua mano accennando un debole ciao. Il tuo sguardo era intenso, due occhi grandi. L’accenno di un sorriso quasi a farmi capire “hai visto perché?". Immaginavo quanto grande doveva essere, per te, il valore di quella lettera. Solo allora ho affidato a tua sorella la busta che, da lì a poco, ti avrebbe consegnato. “Le auguro di vero cuore che tutto si risolva in fretta”. Sono le uniche parole che ti ho detto accompagnate da un sorriso subito ricambiato. Poi ancora un cenno con la mano.

Ho sceso le scale di corsa con solo la voglia di togliermi la mascherina e respirare a pieni polmoni. Oggi, a distanza di qualche giorno, sono tornato vicino a quel portone. C’era un manifesto con il tuo nome ed una fotografia con il tuo volto sorridente. Non volevo crederci. Ho avuto l’onore di conoscerti, giovane combattente. Quel giorno mi hai insegnato, soprattutto, a non arrendermi mai. Che la terra ti sia lieve».

 

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