Sopravvissuto a quattro governi e al Covid e durerà oltre 5 anni e mezzo: la storia del Decreto Calabria

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La storia della legge speciale della sanità calabrese introdotta per la prima volta nel 2019. Dalla prima all'ultima versione e le norme più controverse

  17 novembre 2023 16:42

di GABRIELE RUBINO

È sopravvissuto a quattro governi di colore diverso e al Covid. Il Decreto Calabria, la legislazione speciale della sanità calabrese, è alla sua quinta versione dopo la quarta proroga e sopravvivrà per oltre 5 anni e mezzo. Alla faccia della transitorietà. L’ultimo ‘prolungamento’ arriva direttamente dal Parlamento (sottoforma di emendamento al Decreto Proroghe) mentre prima c’erano stati interventi diretti dell’esecutivo nazionale. La lex specialis, che rafforza il commissariamento, durerà almeno fino al 31 dicembre 2024.

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LA PRIMA VERSIONE DEI CINQUESTELLE- La versione primigenia fu varata il 30 aprile 2019 con il celeberrimo decreto legge n. 35, in una seduta del Consiglio dei ministri ad hoc a Reggio Calabria, dal governo Conte I. A introdurla fu il ministro della Salute dell’epoca, Giulia Grillo, più che sospinta dagli allora parlamentari pentastellati calabresi, i quali da anni operavano in modalità oltranzista. L’obiettivo focale era consentire al generale dei carabinieri Saverio Cotticelli (nominato pochi mesi prima al posto di Massimo Scura) di nominare direttamente i vertici delle Asp e delle aziende ospedaliere calabresi. Fino ad allora c’era la regola del ‘doppio binario’. Il commissario governativo poteva criticare e sberciare i vertici degli enti calabresi ma non poteva nominali (in teoria poteva al massimo rimuoverli, ma era piuttosto complicato). Ci si trovava quindi con l’allora presidente della Giunta regionale Mario Oliverio (che pretendeva invano da governo teoricamente amico l’investitura a guidare la sanità calabrese) con il potere di nominare i vertici delle aziende e con il ‘delegato’ del governo a doverle digerire. Questo paradigma fu stravolto proprio con il Decreto Calabria, che ribaltò la potestà di conferire gli incarichi. Pur sopravvivendo qualche forma di influenza dell’eletto dai calabresi, tutto il manico del coltello passava al commissario governativo. Quest’ultimo poteva attingere non solo dall’elenco nazionale dei direttori generali (criterio valido in tutt’Italia) ma anche fra persone che non ne facevano parte o che erano in pensione. Per ‘incentivare’ l’arrivo di manager in Calabria era anche previsto un generoso bonus per compensare il fatto che lo stipendio base dei direttori generali calabresi era più basso della media nazionale (è stato livellato durante l’attuale consiliatura regionale) e il grado di attrattività non certo esaltante. Era stata prevista la centralizzazione ed esternalizzazione fuori dalla Calabria dei grossi appalti, norme ad hoc per le aziende sciolte per infiltrazione mafiosa (all’epoca quelle interessate erano l’Asp di Reggio e di Catanzaro) e un contributo di solidarietà non facilissimo da raggiungere. In poche parole, era il commissariamento del commissariamento. Un set di regole che doveva durare un anno e mezzo, fino a novembre 2020.

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COVID, LA NUOVA PROROGA E LO SHOW DI COMMISSARI GOVERNATIVI BRUCIATI- Nel frattempo, a inizio anno arriva il Covid e a settembre cambia il governo. C’è il Conte II. Nell’esecutivo giallorosso a guidare la Sanità arrivava Roberto Speranza. Era cambiato anche il governo della Regione. Jole Santelli, una delle più critiche in Parlamento rispetto al primo Decreto Calabria, era diventata presidente a gennaio. All’appuntamento con la scadenza si arriva con frizioni. Con la Giunta regionale pronta a nominare i suoi commissari e con il governo che nottetempo sterilizza questa possibilità inserendo una norma transitoria che stoppava possibili blitz. Vedeva così la luce il decreto legge n. 150 del 2020, il cui impianto resta la base delle successive proroghe. Erano introdotti dei correttivi rispetto alla prima edizione, ma la sostanza sulle nomine rimaneva la stessa. Poche settimane prima era successo di tutto. Cotticelli era stato costretto alle dimissioni dopo una magra figura in una trasmissione nazionale. Gli era subentrato Giuseppe Zuccatelli che pagò lo scotto per un vecchio video scanzonato registrato da un gruppo di femministe e di fatto non si insediò mai. Poi era arrivata la nomina del rettore de La Sapienza Eugenio Gaudio che poche ore dopo aveva capito (assieme alla moglie) che la sanità calabrese non gli interessava. Alla fine, arrivava un'altra ‘riserva’ della Forze dell’ordine, ossia Franco Longo. L’autunno più complicato della storia recente della Calabria fu completato dalla morte di Jole Santelli e dal subentro del vice Nino Spirlì, che con Longo instaurava fin da subito un buon rapporto anche se facevano una confusione tremenda su chi aveva competenza ad adottare gli atti necessari a fronteggiare il Covid. Nonostante la giostra, da novembre 2020 c’erano altri 24 mesi di Decreto Calabria. Un periodo in cui ineludibilmente venivano ‘bocciate’ dalla realtà norme buone solo sulla carta. Come l’approvazione in pochi mesi dei bilanci degli esercizi passati e degli atti aziendali. Il commissario straordinario che non gli avrebbe approvati sarebbe decaduto entro pochi mesi dalla nomina. A decadere non furono i vertici, ma questi obblighi ‘cassati’ da emendamenti introdotti in corso d’opera dal Parlamento.

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L'ARRIVO DI OCCHIUTO, CHE DIVENTA SUBITO COMMISSARIO E AGGIUNGE ALTRE NORME SPECIALI- Quasi un anno dopo e con risultati non particolarmente brillanti di Longo, arrivava il cambio del governo regionale. Vinte le elezioni, Roberto Occhiuto, il politico calabrese con maggiori influenze nei palazzi che contano, ci metteva poche settimane a ottenere quello che i predecessori avevano ricercato per anni: essere nominato dal governo commissario della sanità. E quella influenza si è subito sentita poiché parallelamente è partita la campagna dei periodici emendamenti in Parlamento depositati dagli ex colleghi di Occhiuto su sua indicazione. La prima mitragliata arrivava nell’ultima parte del 2021 con il ‘Decreto Fisco Lavoro’  (il decreto 146/2021, articolo 16-septies) in cui veniva previsto un contingente Agenas di supporto alla struttura commissariale (pochi mesi prima era arrivata la sentenza della Corte Costituzionale che colpevolizzava lo Stato di non aver dato adeguato supporto alla Calabria per uscire dal commissariamento), lo stop ai pignoramenti e prime ancestrali norme di quelle più recenti sulla ricognizione del debito. E arriviamo alla scadenza del Decreto Calabria bis: novembre 2022. In questo caso, si torna al decreto del Consiglio dei ministri (pur in compagnia di misure sulla Nato e sull’Aifa). La proroga di sei mesi mette più sabbia nella clessidra fino a maggio 2023, con la scure per i vertici in carica di essere confermati o meno con apposito atto di Occhiuto. Anche se si aggiunge la possibilità di tornare alla normalità, ossia di poter procedere con la nomina dei direttori generali con contratti almeno triennali (opzione utilizzata finora soltanto per le Asp di Reggio Calabria e di Cosenza).

LA PENULTIMA PROROGA E LA REGOLA SUI BILANCI EX POST- Si arriva così a maggio. Sempre con i giorni contati si arriva all’ulteriore posticipo: dicembre 2023. Nel cestello della proroga è spuntata una norma in verità parecchio forzata (i cui reali effetti si vedranno nei prossimi mesi), ossia quella di obbligare l’adozione dei bilanci 2022 ad Asp e aziende ospedaliere entro giugno di quest’anno mentre quelli degli esercizi già scaduti (quindi anche di parecchi anni prima) entro dicembre 2024.

L'ULTIMO INTERVENTO- L’ultima proroga è più light. Nel senso che rimane la procedura speciale per la nomina dei commissari straordinari di Asp e aziende ospedaliere, viene bloccato lo stop ai pignoramenti (rischio infrazione UE) e sono sbloccati circa 60 milioni per l’edilizia sanitaria.

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