di EDOARDO CORASANITI
Il Consiglio di Stato non ha dubbi: quella stalla trasformata in una villa con terrazze e parcheggi va demolita ed è legittima l'ordinanza del maggio 2015 del Comune di Soverato perché "costituisce doveroso e imprescindibile esercizio del potere sanzionatorio da parte della pubblica amministrazione".
Venerdì scorso i giudici romani fischiano la fine della controversia amministrativa che ha visto ai due poli opposti il Comune di Soverato e l'ex responsabile del settore Gestione e territorio dall'aprile 2012 all'aprile 2015, Vincenza Chiaravalloti. Per la stessa vicenda, i carabinieri nel luglio 2015 hanno eseguito un sequestro preventivo del fabbricato con un provvedimento firmato dal Gip di Catanzaro. A novembre dello stesso anno, il Tribunale del Riesame ha confermato la misura.
Due interessi contrapposti, dove l'ente comunale difeso dall'avvocato Domenico Calabretta prosegue con l'intenzione di demolire l'immobile perché non conforme rispetto a quanto dichiarato nella Dia (dichiarazione inizio attività) presentata dall'architetta nel 2008, mentre Chiaravalloti evidenzia la tardività dell'inibitoria adottata dal Comune avente ad oggetto l'originaria Dia. Errore che, per la difesa rappresentata in giudizio dall'avvocato Matteo Caridi, avrebbe indotto il Tar, nel 2017, a dare ragione al Comune. Un altro elemento a supporto della tesi difensiva dell'architetta è la violazione dell'articolo 10 bis 1.241/90, la mancata comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza. Ragioni che nel settembre 2015 portarono all'accoglimento della domanda cautelare e la concessione della sospensiva in attesa del merito. Al giornale online L'Esuberante l'architetta sottolineava che “la decisione dei giudici amministrativi attesta la mia buona fede e mio il rispetto per le regole dopo che invece sono stata fatta passare praticamente per una criminale”.
Ma secondo la sesta sezione del Consiglio di Stato (Presidente Sergio Santoro, Consiglieri Bernhard Lageder e Vincenzo Lopilato), il manufatto derivante dalla nuova edificazione "lungi dall'essere consistito nella "demolizione e ricostruzione" non rispecchia affatto quello preesistente" e infatti "l'amministrazione ha accertato la radicale difformità dei lavori realizzati rispetto a quelli indicati nella DIA: "il nuovo fabbricato, rispetto al vecchio edificio oggetto di ristrutturazione, ha pianta e sezione palesemente differenti, nonché diverse volumetrie, altezze, aperture e pertinenze".
E dunque, per il Consiglio di Stato non c'è alternativa: l'intervento edilizio di nuova costruzione, ricadente anche in una zona a vincolo idrogeologico, avrebbe dovuto essere autorizzato con il rilascio del permesso di costruire anziché in forza di DIA o SCIA.
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