di GAETANO MARCO GIAIMO
"Quante volte il processo penale è stato utilizzato come motivo di lotta e di contrasto politico? Quanto è importante che ci sia un processo penale giusto e che lo sia per davvero?": sono queste le riflessioni conclusive che l'avvocato Marco Grande, Docente di Procedura penale presso l'Università di Torino, ha posto alla platea del convegno "Il caso di Cecilia Faragò: profili storico-giuridici dell'ultimo processo penale per stregoneria nel Regno delle Due Sicilie", tenutosi questo pomeriggio all'interno del municipio di Soveria Simeri, paese che è stato in gran parte teatro delle vicende della donna. Ad organizzare l'evento, l'Amministrazione comunale della cittadina con l'associazione "Prima o Poi".
La storia di Cecilia Faragò accadde nel XVIII secolo: la donna - nata nel 1712 a Zagarise ma sposatasi con Lorenzo Gareri, mugnaio di Soveria Simeri, una volta compiuti vent'anni - rimase vedova e, dopo la morte del figlio Andrea, finì in dispute testamentali con due membri del clero, Domenico Vecchitti e Francesco Biamonte, che l'avevano portata con l'inganno a siglare un albaranus, un contratto notarile sulla destinazione dei beni che risultavano donati dal defunto Andrea alla chiesa di Soveria. Quando la donna riuscì a ottenere dalla Regia Corte la restituzione di tutti i beni, i due allora tentarono il tutto per tutto, ordendo un ulteriore complotto contro di lei. Approfittando del decesso di un altro curato, Antonio Ferrajolo (morto in realtà di tisi), e facendo pressione sulla madre del defunto, accusarono la donna di affatturamento, un reato parte della categoria della stregoneria che diventava effettiva solo quando il maleficium aveva effetto. Cecilia non si diede per vinta e, grazie all'impegno, al talento e alle capacità di un giovane avvocato catanzarese di nome Giuseppe Raffaelli, figura cardine di tutta la vicenda, riuscì ad ottenere l'assoluzione in secondo grado dalla Gran Corte della Vicaria di Napoli (il primo grado si era celebrato presso la Regia Udienza Provinciale di Catanzaro). Dopo di allora nel Regno delle Due Sicilie non vennero più celebrati processi per stregoneria.
Per celebrare questa storia, approfondirne i protagonisti e raccontare l'importanza che essa ha per Soveria Simeri, sono intervenute diverse personalità. L'avvocato Grande ha lasciato subito la parola al presidente della provincia di Catanzaro nonché sindaco di Soveria Simeri, Mario Amedeo Mormile: "Questa vicenda ha portato Soveria al centro del mondo, si parla di stregoneria ma il significato è ben altro. Cecilia Faragò è stata una donna coraggiosa, che in un mondo predominato dagli uomini si è trovata a combattere per ciò che la riguardava ed è riuscita a trionfare, seppur la sua vittoria fu platonica in quanto i beni non le vennero mai restituiti. Abbiamo cercato di mettere in luce e diffondere questa vicenda perché crediamo si tratti di un grande marcatore identitario che può caratterizzare Soveria anche nel futuro. Siamo molto contenti perché, nell'ambito delle manifestazioni estive, è bello che ci siano anche iniziative meno ludiche ma con valenza divulgativa".
Per entrare nel vivo dell'aspetto giuridico, ha preso nuovamente la parola l'avvocato Grande: "Ci sono alcuni elementi storici all'interno di questa vicenda: in primo luogo, l'abolizione del delitto di stregoneria e impiego di arti magiche nel Regno delle Due Sicilie, che di fatto non vide più celebrare processi per questo reato al suo interno; poi l'importanza della figura di Raffaelli, giurista catanzarese che, grazie a questo caso, ottenne notevole fama e arrivò a ricoprire incarichi istituzionali importantissimi, fu addirittura successore di Cesare Beccaria per la cattedra dell'Università di Brera ma, oggi, vede intitolata a lui solamente una stradina alle spalle del Palazzo della Provincia a Catanzaro e meriterebbe di essere celebrato maggiormente". L'intervento successivo è stato di Rossana Talarico, studentessa dell'Unical e attrice teatrale: "Per la mia esperienza ritengo che il caso di Cecilia sia importante non solo per il mio paese ma per tutto il sud Italia perché rappresenta una storia di lotta e di rivalsa, con una donna e un giovane avvocato che da soli contestano l'intero sistema ecclesiastico che all'epoca era ancora prominente all'interno del Regno. Dare risalto a queste storie che non si conoscono permette di valorizzare la nostra terra".
Antonella Borganzone, docente presso l'Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, ha per lunghi anni studiato il caso e l'intera carriera di Raffaelli, tracciandone questa sera un quadro professionale e biografico: "Si tratta del mio primo amore di ricerca. Sappiamo che era originario di Serra San Bruno e si trasferì a Catanzaro in tenera età, studia nel collegio dei gesuiti (l'odierno Convitto Galluppi) e, conclusi gli studi, si trasferisce a Napoli. Nel 1799 verrà esiliato e viaggerà molto tra Francia, Spagna e Svizzera, arrivando a Milano nel 1801 dove prende la cattedra che fu di Cesare Beccaria. Nel 1806 è nominato membro della Commissione Legislativa, nel 1807 membro della Commissione Feudale a Napoli, dove nel frattempo è arrivato Napoleone; nel 1808 nasce la prima Corte di Cassazione a Roma e lui è il primo Procuratore generale. Si ritira poi a vita privata nella sua villa a Capodimonte, dove oggi è conservato un suo busto e dove si dedicherà alla stesura del suo trattato che lo ha condannato, probabilmente, all'oblio, "Nomotesia penale". Per quanto riguarda il processo, esso è molto lontano dalla stregoneria medievale: si tiene nelle corti di giustizia laica, non c'è tortura, non si tratta di inquisizione. Cecilia non era una femminista ma una donna calabrese caparbia che voleva difendere la sua proprietà che viene accusata con furbizia di qualcosa che non ha compiuto ma Raffaelli riuscì a salvarla con una grandissima arringa divisa in tre parti: nella prima spiega come in quel tempo si stava vivendo l'età dei lumi, in cui il tempo delle streghe è passato; nella seconda dimostra che Ferrajolo morì di tisi, dimostrando anche la responsabilità medica; la terza invece spiega come la legge che punisce i maghi è una legge di calunnia. La Faragò non pagò mai la parcella a Raffaelli che, però, chiuse un occhio poiché la difesa gli portò molta fortuna. La memoria difensiva è ciò che davvero va valorizzato di questo processo perché in Italia si conosce poco ma è stata tradotta in portoghese e spagnolo, divenendo anche cardine di molte pagine giurisprudenziali brasiliane".
L'ultimo a prendere la parola è stato il consigliere comunale delegato a cultura e sport di Soveria Simeri, Giuseppe Ionà: "Studiamo da molto tempo questo caso e nell'ultimo periodo sono emerse molte novità delle quali, però, non potrò parlare stasera. Infatti stiamo pensando a un progetto ambizioso che prevede anche un'edizione completamente riveduta e aggiornata del libro del 1996 di Mario Casaburi dedicato all'argomento. Mi limiterò a sottolineare l'importanza di alcuni fattori umani all'interno di questa vicenda, che rientra in un contesto prioritario di eventi culturali della nostra città per i suoi contenuti che hanno contorni davvero interessanti. L'assoluzione di Cecilia Faragò sviluppa aspetti civici, sociali e giurisprudenziali entusiasmanti perché non si tratta solo della vittoria della donna ma di tutti, un trionfo sul pregiudizio di carattere sociale che ha effetti devastanti in senso positivo in ambito giurisprudenziale perché significa l'assoluzione e la depenalizzazione del reato di stregoneria, facendo assaggiare nel 1770 a Napoli il garantismo, concetto nuovo e fondamentale per la tutela dei diritti e della libertà della persona. Questa vicenda è motivo di orgoglio perché conferisce al regno borbonico un sistema avanzato, dinamico ed evoluto nella storia giuridica. Mi voglio soffermare soprattutto sulla figura di Bernardo Tanucci, che fu fondamentale nel processo e nell'assoluzione. Si tratta del Ministro della Giustizia del Regno durante il processo Faragò e fu autore di molte riforme che risollevarono la giurisprudenza nel regno borbonico. Importantissimo per la liberazione di Cecilia fu il suo dialogo tumultuoso con re Ferdinando IV, che si trova in difficoltà per diversi fattori, in quanto l'assoluzione significava una frattura con i protocolli rigidi del passato: inoltre il re viene descritto come rozzo e poco colto, al contrario di Tanucci, persona di spessore e con elevato bagaglio giuridico. Grazie a un documento scritto con terminologia semplice, Tanucci riuscì a far comprendere l'importanza di questo caso a re Ferdinando, che dunque accettò l'assoluzione. Questa storia ha gettato le basi della giurisprudenza garantista e nasconde, dunque, una valenza elevatissima".
Al termine del dialogo, i presenti sono stati invitati alla seconda parte della serata, tenutasi in Villa Cecilia Faragò: dopo una degustazione di prodotti tradizionali, infatti, si è dato vita a una rappresentazione teatrale sulla storia di Cecilia, per mettere in scena quanto è stato raccontato poco prima in maniera più romanzata e senza entrare nel merito del valore giuridico. La divulgazione di questo caso mette in risalto una storia calabrese che ha avuto rilevante incidenza nello studio del Diritto moderno e più in generale delle Scienze penalistiche, grazie all'impegno di un giovane avvocato catanzarese e alla testardaggine di una donna intenta a riprendersi ciò che le spettava e le nuove scoperte potrebbero portare una luce ulteriormente interessante su questa storia della nostra terra.
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