di VINCENZO SPEZIALI
Gentilissima Sig.ra Giusy Orlando,
mi rivolgo a Lei, tramite la stampa, avendo appreso dai mezzi di informazione, non solo e al tempo, la tragedia che ha colpito Suo figlio Davide Ferrario (e con lui tutti voi), ma il Suo giusto grido di dolore, ovvero quello di un genitore, più precisamente di una mamma, nell'articolo del 30 Ottobre, su 'Il Corriere della Sera'.
Ha ragione signora, ha ragione da vendere, poiché in uno Stato civile, simili barbarie, accadute -purtroppo!- ad una persona come Davide, non è che non possono capitare, non dovrebbero affatto verificarsi.
Vi è poi il dramma, la sofferenza, l'atrocità, nel sopportare un devastante senso di impotenza, rispetto ad un figlio, praticamente morto, purtuttavia ancora in vita, sebbene in stato vegetativo.
Per me cattolico praticante, la vita è vita, anzi essa ancora di più -persino in siffatta maniera- risulta confermata, poiché non è mai una disponibiltà umana, bensì divina, proprio in virtù della discendenza da Nostro Signore.
Poi, certamente, esiste l'aspetto
giuridico-legale, ed allora, l'intera questione, rientra nell'ambito degli uomini, delle leggi e delle prassi normative previste, quindi dell'attività costituzionale dei magistrati.
Qui, però, pencoliamo, barcolliamo, essendo proprio Lei, gentilissima signora, a dimostrarci, per l'ennesima volta -ove mai ci fosse bisogno della riprova regina- quanto e come c'è da rabbrividire, rispetto alla categoria di specie: più vicina agli ayatollah iraniani, quando si imbastirebbero indagini e processi verso i potenti che non si trovano allineati, confacenti e, perciò pro domo loro o ad essi utili; più lassissti, viceversa, quasi fossero al limite dell'insipiente pietas, nel gestire, amministrare, decidere e sanzionare, seppur o anche, in fase preliminare, le orribili situazioni, di cui Suo figlio, in primis, è vittima.
Anzi, vittima succube di simili atrocità fisiche e voi, psicologicamente ed emotivamente, per le conseguenze di ritorno affettivo.
Gentile signora, ciononostante e cionondimeno, non possiamo, però permetterci l'abiura nella fiducia -residuale, molto residuale- verso costoro -cioe` di chi amministra la giustizia- perché andrebbe in frantumi la civiltà giuridica, la convivenza civile, il senso del sinceramente sentito lagalitarismo e lo stato di diritto: è compito, pure della magistratura, ma non non solo di essa (essendoci la politica), tutelate i cittadini!
I magistrati, difatti, non possono e non devono, prevaricare sugli altri poteri delle istituzioni, oppure -peggio ancora- credere di sostituirsi a tutti gli altri e assumersi una superiorità eticamente potestativa o sostenere di essere i tutori di una pubblica morale, al di sopra degli altri soggetti, sia politici, sia istituzionali, sia anche delle persone in genere.
Nossignore, i magistrati, come nel tristissimo caso di specie, utilizzassero quello stesso zelo che anima la suggestione di molti, fra coloro che ha interna corporis, quando si arrabbatta e si incaponisce in teoremi per gli imputati alla Andreotti o alla Craxi (perciò gli innocenti e i martiri, della storia!) e, quindi, sempre i magistrati, prendessero seri provvedimenti, proporzionati al caso, in linea con quanto prevede la legislazione vigente, poiché essi sono chiamati, ad amministrare ciò.
Insomma, facessero il loro lavoro, i signori succitati, e la tal cosa significa applicare la legge, non certo applicare manettarismo spinto, avverso soggetti ideologicamente e culturalmente contrari alla categoria di cui si fa parte, quindi l'intransigenza -poiché è, la legge a prevederla, persino nei casi come questi!- la si dimostrasse senza se e senza ma, pure per fugare i (leciti?) dubbi, dovuti al fatto di vedersela sempre propinata nelle inchieste, cosiddette 'chic'.
Cara Signora, le Sue ragioni e i Suoi dolori, devono e possono trovare riscontro o comprensione, quindi, in base al principio di vigilanza attiva, chiunque e ciascuno, dovrà fare la propria civile parte, affinché rimanga desta l'attenzione su quanto Lei, giustamente, chiede, essendo un diritto, non solo Suo (che di già soffre, enormemente!), ma di ogni persona.
Tutto ciò, infatti, è sinonimo di civiltà, anche e soprattutto, se consideriamo l'aspetto non secondario di un principio cardine del nostro ordinamento (che deriva dal Diritto Romano), ovvero la certezza della pena.
Essa, vale in capo a tutti coloro che sono poi condannati, specie verso chi limita, flagella o peggio ancora, mutila e spegne, una vita umana, cioè la vita di qualsiasi uomo o donna che sia!
Mi inchino a Lei, signora, difronte al Suo dolore, ed idealmente, seppur con il cuore, L'abbraccio forte.
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