Strage di Cutro, al processo un imputato scaglia un penna contro i giudici e urla: "Sono innocente"

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Naufragio a Cutro (Foto di archivio)

Drammatica la testimonianza del vicebrigadiere dei Carabinieri Gianrocco Chievoli, il primo ad arrivare sulla spiaggia

  23 gennaio 2024 19:06

Una penna lanciata contro i giudici ed un urlo: “sono innocente”. E’ iniziata così, questa mattina, l’udienza che si sta celebrando davanti al collegio penale del Tribunale di Crotone nel processo ai tre presunti scafisti del naufragio avvenuto il 26 febbraio dello scorso anno davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro nel quale hanno perso la vita 94 migranti, tra i quali 35 minori, e provocato una decina di dispersi.

Protagonista della clamorosa protesta è stato Sami Fuat, turco di 50, accusato, insieme a Khalid Arslan, di 25 anni, e Ishaq Hassnan, di 22 anni entrambi pakistani, di naufragio colposo, favoreggiamento all'immigrazione clandestina e morte in conseguenza del favoreggiamento all'immigrazione clandestina. Un quarto imputato per gli stessi reati, Gun Ufuk, turco di 38 anni, ha scelto il rito abbreviato.

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Il presidente del collegio, Edoardo D'Ambrosio, a quel punto ha avvertito Fuat che altre intemperanze avrebbero causato il suo allontanamento dell'aula.

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Ai giudici del Tribunale di Crotone il presunto scafista nelle scorse settimane, tramite il suo difensore, ha indirizzato una lettera in lingua turca. “Da dieci mesi - scrive Fuat - sono detenuto ingiustamente. Questa situazione mi pesa enormemente, poiché sono consapevole della mia innocenza. Non esitate a esaminare tutte le prove disponibili. Se trovate qualcosa che dimostra la mia colpevolezza, siete liberi di agire come meglio credete”. Fuat, che in Turchia ad Izmir aveva un'impresa di pulizie ed ha scritto anche un romanzo dal titolo “Amante del mare”, nella missiva chiede ai giudici: “Evitate di fare accuse infondate e oscure. Ho già affrontato quattro diverse accuse, ognuna accompagnata da decisioni che mi sono state notificate. Queste accuse includono i ruoli di capitano, primo ufficiale, organizzatore. La mia salute è compromessa, il mio cuore mi fa soffrire. Non ho consultato un medico, poiché sono convinto che la cura per la mia malattia risieda in me stesso. In questi momenti difficili, cerco di placare il fuoco nel mio cuore bevendo acqua ghiacciata. Vi prego, non siate la causa della mia scomparsa. Nel mondo ci sono ancora persone che amo”. Il suo difensore, l'avvocato Martina La Vecchia, ha quindi spiegato che Fuat viveva a Izmr e che aveva deciso di partire per l'Europa per le difficoltà dal punto di vista politico. “Stava andando dal fratello in Francia e gli aveva spedito una copia del libro per farlo tradurre in francese e venderlo lì. Ci sono annunci – ha rivelato il difensore - che lui ha messo sui social per vendere le auto e con il ricavato ha pagato il viaggio ai trafficanti in Turchia”.

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“Era completamente buio ed abbiamo visto subito un corpo senza vita e poi, continuando a camminare sulla spiaggia, ne abbiamo tirati fuori dall'acqua decine”. E’ la drammatica testimonianza del vicebrigadiere dei Carabinieri Gianrocco Chievoli resa oggi all'udienza del processo che si sta celebrando davanti al Tribunale di Crotone contro i presunti scafisti del caicco naufragato il 26 febbraio dello scorso anno a poche decine di metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro. Il militare dell'Arma è stato il primo ad arrivare sulla spiaggia: “Dopo aver tirato fuori i cadaveri dell'acqua per evitare che venissero risucchiati in mare, abbiamo visto i resti della barca e c'erano oltre a tanti morti anche delle persone vive. Ci siamo tuffati col il collega ed abbiamo aiutati una ventina di persone a mettersi in salvo. Sinceramente non so quanti fossero”. Il racconto del vicebrigadiere in aula, anche attraverso le domande dell'avvocato di parte civile, Francesco Verri, è servito più che al processo contro gli scafisti, a mettere in evidenza i tempi dei soccorsi sui cui ritardi la Procura della Repubblica ha aperto una indagine parallela che dovrebbe concludersi a breve: “Eravamo impegnati a Rocca di Neto quando siamo stati avvisati dello sbarco. Erano le 4,15 e siamo arrivati alle 5. Non ci avevano preallertati che ci potesse essere uno sbarco. Da quando avevo preso servizio, da mezzanotte, nessuno ci aveva avvertito che stava per arrivare una barca di migranti. Appena arrivati sulla spiaggia ci siamo resi conto della gravità della situazione ed abbiamo chiesto rinforzi. La prima pattuglia di colleghi di Botricello l'ho vista circa 40 minuti dopo”. Sul banco dei testimoni è poi salito l'ammiraglio Salvatore Carannante che ha redatto la consulenza tecnica sul naufragio per conto della Procura della Repubblica di Crotone. Nessuna domanda dalle parti a Carannante che ha confermato il contenuto della sua perizia nella quale sostiene essenzialmente che i dati di Frontex su rotta e velocità del caicco erano “approssimativi se non fuorvianti” e che con quelle indicazioni la barca “con i possibili migranti sarebbe dovuta giungere nella zona della baia di Copanello, quindi ben più a sud-ovest di Steccato di Cutro”.

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