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Kabiry, 29enne afgano di Kabul, ha spiegato che “le condizione del mare erano peggiorate, i quattro scafisti pensando che ci fossero i poliziotti, hanno fermato la navigazione cercando di cambiare rotta e modificare il punto di approdo. La barca interrompeva nuovamente la navigazione suscitando i malumori e le lamentele di noi migranti, ormai stremati. La situazione era pertanto diventata critica, infatti dopo il repentino cambio di rotta le onde alte hanno iniziato a far muovere e piegare l'imbarcazione sino a quando improvvisamente la barca ha urtato contro qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua e inclinarsi su un fianco. Ho sempre avuto paura che l'imbarcazione potesse imbarcare acqua perché le condizioni del mare non erano delle migliori e le donne e i bambini impauriti hanno sempre pianto e gridato aiuto proprio perché si temeva che l'imbarcazione potesse affondare in mare aperto, l'imbarcazione era in condizioni pessime e non siamo stati equipaggiati con nessun giubbotto galleggiante o qualsiasi sistema di salvataggio”.
“Gli scafisti disponevano di telefoni satellitari e un apparecchio che sembrava di tipo Jammer. I pakistani, sulle direttive dei quattro scafisti, ci tenevano segregati nella stiva per impedirci di salire sul ponte dell'imbarcazione. Ci facevano salire soltanto per esigenze fisiologiche o per prendere pochi minuti di aria, prima di farci ritornare nella stiva”. E' il racconto di un superstite del naufragio di domenica scorsa a Steccato di Cutro raccolto dagli ufficiali di polizia giudiziaria le cui indagini hanno poi portato al fermo di tre scafisti, due pakistani, uno dei quali minorenne, e un turco.
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