di MARIA PRIMERANO
Panni stesi ad asciugare al sole e al vento della marina e col vento iniziano a volare non solo le particelle d’acqua ma anche le parole. Si apre così la stagione teatrale a Catanzaro, al Teatro Comunale, con l’intramontabile Uomo e galantuomo di Eduardo De Filippo, evento organizzato da AMA Calabria, che vede in scena attori raffinati ed esperti come Geppy Gleijeses, Lorenzo Gleijeses, Ernesto Mahieux e la regia di Armando Pugliese.
Non c’è niente da dire. La lingua napoletana è affascinante, avvincente, entusiasmante e, recitata da attori napoletani, e Gleijeses lo è, è tutta un’altra cosa. Ritmi incalzanti, febbrili, concitati, parole e frasi come locomotive, anzi, treni in corsa, in un crescendo ritmico e sonoro da fare spavento anche a Rossini. Bellissima serata. Prova superba per Gleijeses e i suoi attori.
Uomo e galantuomo è commedia scritta da Eduardo per il fratellastro Vincenzo Scarpetta e messa in scena nel 1924 con il titolo Ho fatto il guaio? Riparerò!, quindi rappresentata nel 1933 dalla compagnia di Eduardo "Teatro Umoristico I De Filippo" con il titolo definitivo di Uomo e galantuomo. Una pièce teatrale questa che narra, con meccanismo comico stupefacente, la storia di una compagnia di guitti scritturati per una serie di recite in uno stabilimento balneare. Che narra del capocomico Gennaro (Geppy Gleijeses) la cui volontà è ogni volta sottoposta a una circostanza sventurata; che narra di suo figlio (Lorenzo Gleijeses) che ha messo incinta una contessa regolarmente sposata e si finge pazzo davanti al marito di questa, conte (Ernesto Mahieux).
Una pièce teatrale dunque, sempre attuale, giocata sulle difficoltà del vivere che accomunano nella stessa pentola disgraziati e aristocratici e che suggerisce sul come, fingendosi pazzi, si risolvono le situazioni più difficili e se ne esce liberi e soddisfatti. Del resto la storia insegna: il famoso Tommaso Campanella, filosofo, fingendosi pazzo, nel carcere di Napoli, dopo 27 anni di galera, fu prosciolto e si salvò la vita.
Si rincorrono termini come janara, (strega) buatta (recipiente) e frasi in lingua napoletana. Sì, lingua napoletana, perché questa è una lingua vera e propria. E chi non la mastica, ha difficoltà a starle dietro. Una commedia che non ha lasciato insoddisfatti. Luminosa. In specie in nelle scene ripetute, comico refrain, Io tenevo una buatta, o Nzerra chella porta, quest’ultima con uno strepitoso suggeritore che non sa fare il lavoro suo. Una lingua che brilla per musicalità sia nei dialoghi tra pochi sia nel putiferio delle liti, facendo emergere, come già accennato, la musica dei guitti destinata a crescere e moltiplicarsi come un crescendo rossiniano. Non a caso Gioachino Rossini, marchigiano, trovò a Napoli, il suo ambiente umano e musicale ideale. Bravi gli attori. Nella gestualità, nella mimica, nelle dinamiche, nella prosa.
Geppy Gleijeses, nel cervello una laurea in giurisprudenza conseguita con lode e nelle vene il teatro. Allievo prediletto di Eduardo De Filippo che incontra a diciotto anni e lo invita a recitare nella sua compagnia, invito rifiutato a causa degli impegni universitari, poi, a soli vent’anni, ormai decisa la sua strada, ha il privilegio di avere dal Maestro il permesso di rappresentare le sue opere. Ed ecco che Eduardo in alcuni incontri nella sua abitazione romana gli offre i rudimenti dell’interpretazione e della regia di due sue commedie. Definito dalla critica (De Chiara, Rea Giammusso) Il miglior attore napoletano della sua generazione, recita meravigliosamente con il figlio Lorenzo che, a sua volta, da come promette, sicuramente continuerà sulla scia non comune del padre. Unica pecca: un palcoscenico troppo sacrificato.
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