Talerico: “Marcello Manna, martire della giustizia negata"
Marcello Manna
18 luglio 2025 17:25di ANTONELLO TALERICO*
“In nome del popolo italiano”.
Tre parole solenni, scolpite nella nostra coscienza democratica, che oggi assumono un significato profondo, quasi liberatorio.
Dopo 1.050 giorni, l’Avv. Marcello Manna è stato assolto. Totalmente. Con formula piena, ai sensi dell’art. 530 c.p.p.
Ma questa non è semplicemente una sentenza. È una restituzione. Una riparazione tardiva, ma necessaria. È un grido civile contro la deriva di un sistema che troppo spesso dimentica il valore più sacro del diritto: l’innocenza fino a prova contraria.
Marcello Manna non era un imputato qualunque. Era – ed è – un simbolo dell’Avvocatura italiana, già Presidente della Camera Penale di Cosenza e componente della Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane. Un uomo e un professionista di straordinaria levatura, travolto da un processo mediatico e giudiziario che ha tentato di spezzarne la reputazione, la vita pubblica, la dignità umana.
Oggi, come Consigliere Nazionale Forense e come Consigliere Regionale e quindi anche come politico, sento il dovere non solo di esprimere soddisfazione per l’esito del giudizio, ma di prendere posizione pubblicamente. Una posizione chiara, netta, senza ambiguità: Marcello Manna è stato vittima di una giustizia che, in alcuni momenti, ha dimenticato sé stessa. È stato marchiato come colpevole ancor prima che un giudice si esprimesse. È stato delegittimato, isolato, vilipeso, come uomo, come professionista e come politico.
Un processo lungo mille giorni. E mille giorni di silenzio.
Il procedimento “Reset”, celebrato presso il Tribunale di Cosenza con rito ordinario, ha rappresentato uno dei filoni più estesi e mediaticamente esposti contro la presunta ‘ndrangheta cosentina. In mezzo a più di 120 imputati, la posizione di Manna è stata trattata con un'enfasi sproporzionata, come se la sua immagine pubblica, la sua storia di giurista, rendessero necessaria una punizione esemplare. Eppure, alla prova dei fatti, nessuna colpa. Nessun reato. Nessuna condanna.
Per tre anni, Manna ha vissuto da innocente trattato da colpevole, scontando una pena senza processo: la pena del sospetto. La più insidiosa, perché silenziosa. La più infame, perché invisibile. Quella che ti condanna prima ancora che si apra un’aula di giustizia.
L’azione penale come dovere, non come crociata
Questo caso deve interrogare profondamente chi esercita la funzione pubblica nel nostro ordinamento. L’azione penale è una responsabilità altissima, non una missione salvifica né una battaglia morale. Deve essere guidata da misura, da equilibrio, da senso del limite. Ogni atto giudiziario ha conseguenze irreparabili nella vita delle persone. Ogni rinvio a giudizio è un terremoto esistenziale.
L’innocenza non può essere un dettaglio da accertare in corso d’opera. Deve essere la bussola che orienta ogni decisione. E invece, troppo spesso, assistiamo a uno spettacolo distorto: la trasformazione dell’aula di giustizia in palcoscenico, la sostituzione del diritto con la narrativa, la celebrazione del sospetto come condanna anticipata.
La vera ferita: la delegittimazione dell’Avvocatura
La gogna mediatica che ha accompagnato questo processo non ha colpito solo l’uomo Manna, ma l’intera comunità forense. Si è tentato di infangare la funzione dell’avvocato, di criminalizzare la rappresentanza, di colpire simbolicamente una categoria che è, e resta, baluardo di garanzia costituzionale.
Perché è bene dirlo con forza: quando si colpisce un avvocato per il suo ruolo, quando si tenta di ridurne al silenzio l’azione politica o associativa, non si attacca una persona, ma si mina la democrazia. Si distrugge l’equilibrio tra accusa e difesa. Si apre la porta al giustizialismo.
E noi, come avvocatura istituzionale, non possiamo accettarlo. Non lo accetteremo mai.
Un'assoluzione che è anche una denuncia
Il verdetto del 17 luglio 2025 è un atto di giustizia. Ma è anche un atto di accusa contro tutto ciò che è accaduto prima: l’assedio mediatico, la solitudine processuale, la freddezza delle istituzioni, la violenza del sospetto. Nessuna assoluzione potrà mai cancellare questi tre anni di sofferenze. Nessun articolo 530 restituirà il tempo perduto.
Eppure, oggi, da questo dolore sul piano umano sono convinto che Marcello Manna saprà ripartire ed essere un esempio di come si debba lottare per far dichiarare la propria innocenza, con la consapevolezza che non sempre è possibile.
Difendere gli innocenti: un dovere civile.
Parlare della vicenda di Marcello Manna oggi significa difendere tutti gli innocenti travolti da procedimenti ingiusti. Significa prendere posizione contro l’abuso delle misure cautelari, contro il processo mediatico, contro la criminalizzazione preventiva. Significa tornare ad affermare, con coraggio e responsabilità, che la giustizia vera non ha bisogno di eroi, ma di uomini liberi, onesti e rispettosi delle regole.
Marcello Manna lo è sempre stato. E oggi, con orgoglio e senza riserve, lo diciamo forte: non solo è stato assolto. Marcello Manna è innocente.
Sono fiero di come Marcello Manna abbia resistito eticamente e moralmente. Lo ha fatto per sè stesso innanzitutto, ma anche per la categoria a cui appartiene di uomo politico e di Avvocato. Che la sua storia sia luce per le future generazioni. Che la sua vicenda - come le tante altre della stessa natura - sia coscienza collettiva.
+Consigliere Nazionale Forense, Consigliere Regionale Calabria