di EDOARDO CORASANITI
Ci sono i lavori di abbattimento del cavalcavia di via del Progresso di Lamezia Terme e una tentata estorsione al centro del processo che questa mattina nell’aula bunker del Tribunale di Catanzaro trovano un punto fisso: il Gup, Alfredo Ferraro, decidendo con il rito abbreviato ha condannato Giuseppe Giampà a 3 anni e 4 mesi, Angelo Torcasio a 3 anni e 4 mesi, Cosentino Battista a 2 anni e 8 mesi, Sebastiano Sgromo a 1 anno e 4 mesi ed Eugenio Sgromo a 2 anni e 4 mesi. Questi ultimi due sono accusati di favoreggiamento.
Assolto con formula (il fatto non sussiste), invece, Fedele Filadelfio, assistito dagli avvocati Francesco Iacopino e Pino Zofrea.
Secondo l’accusa, Giampà, Torcasio, Cosentino (nell'operazione è stato coinvolto anche Cesare Falvo, poi deceduto) avrebbero costretto, mediante minaccia esplicita, gli imprenditori Sgromo a pagare una somma di 40 mila (o il 3% dell’importo dell’intero sub appalto) per poter svolgere in tranquillità (senza subire danneggiamenti) i lavori in prossimità del cavalcavia di via del Progresso di Lamezia Terme. Tutto aggravato dall’appartenenza alla cosca Giampà, il clan che, insieme ai Torcasio, si divide il monopolio dell’attività criminale di Lamezia Terme.
Siamo nel 2011 e, raccontano gli inquirenti, l’estorsione non si realizza per l’esecuzione di fermo nei confronti di Giampà, Torcasio e Cosentino (operazione Dejavù).
La posizione di Fedele Filadelfio
Secondo l’accusa l’imputato, dal 2005 al 2012, avrebbe prestato in maniera continuativa e sistematica assistenza agli associati alla c.d. cosca Giampà e, in particolare, avrebbe fornito strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipavano – anche a livello verticistico – alla predetta associazione di ‘ndrangheta, sia in via diretta che per il tramite di altri soggetti, in particolare in contesti legati alle dinamiche estorsive.
Accuse respinte decisamente dall’imprenditore lametino che, con l’ausilio dei propri difensori, gli avvocati Pino Zofrea e Francesco Iacopino, ha presentato una lunga e articolata memoria difensiva per contestare analiticamente tutte le accuse elevate a suo carico, fornendo anche copiosa documentazione finalizzata a valorizzare le plurime contraddizioni e l’inaffidabilità del portato dichiarativo dei collaboratori di giustizia che avevano “legittimato” l’imputazione.
E il GUP, all’esito della camera di consiglio, ha accolto in pieno la tesi dell’imprenditore.
Si tratta della sesta pronuncia liberatoria nei confronti del Fedele il quale, già in passato, aveva dimostrato la propria estraneità agli addebiti rivolti a suo carico dalla Procura Distrettuale.
Arrestato, infatti, nell’operazione “Medusa”, in fase cautelare le originarie accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e di concorso in rivelazione di segreti d’ufficio, mosse a Filadelfio, erano state “ridimensionate” in un’ipotesi di favoreggiamento personale, con l’esclusione dell’aggravante dell’agevolazione del clan lametino.
L’Ufficio di Procura, anche sulla base di ulteriori apporti dichiarativi di “nuovi” collaboratori di giustizia, aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per il delitto di favoreggiamento aggravato, ribadendo l’accusa – per Fedele – di aver favorito la cosca Giampà. Ancora, la Procura – su impulso della Direzione Investigativa Antimafia – aveva avviato un parallelo giudizio di prevenzione davanti al Tribunale di Catanzaro, al fine di ottenere il sequestro di tutti i beni del Fedele (funzionale alla confisca) e l’applicazione della sorveglianza speciale nei confronti del “proposto”.
Il procedimento di prevenzione, dopo una lunga battaglia giudiziaria, nel corso della quale l'imprenditore lametino – tra l’altro – aveva dimostrato la provenienza lecita di tutti i beni a lui riconducibili, si è concluso con il rigetto integrale della proposta, personale e reale, avanzata dal Pubblico Ministero, sia in primo grado che davanti alla Corte di Appello di Catanzaro. A porre la parola “fine” sul giudizio di prevenzione, poi, ci ha pensato la Suprema Corte di Cassazione, nel gennaio 2017, confermando l’impostazione difensiva con il conseguente rigetto del ricorso presentato dal Procuratore Generale calabrese. Nel luglio del 2017, nel processo penale ordinario, anche il Tribunale Collegiale di Lamezia Terme (presidente la dottoressa Maria Teresa Carè), dopo un lungo dibattimento, aveva assolto Fedele perché il fatto non sussiste, evidenziando la fumosità e genericità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, principali accusatori dell’imprenditore. Esito decisorio confermato poi dalla Corte d’appello (Presidente la dottoressa A. Pezzo), con sentenza oggi passata in giudicato.
La nota dei legali Zofrea e Iacopino
L'avvocato Francesco Iacopino
Viva soddisfazione è stata espressa dagli Avvocati Zofrea e Iacopino al termine della lettura del dispositivo: “Siamo di fronte all’ennesima pronuncia assolutoria deliberata dal Tribunale di Catanzaro, che si somma alle precedenti decisioni di merito dei Giudici catanzaresi e lametini e, quanto al procedimento di prevenzione, anche alla sentenza della Suprema Corte; per Fedele si tratta di una lunga e interminabile via crucis che si spera, oggi, possa finalmente trovare il suo definitivo epilogo liberatorio”.
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