di TERRI BOEMI
Lutti ed spoliazioni di un Regno che aveva la seconda marina mercantile al mondo, la terza marina da guerra e che si era aggiudicato il terzo posto fra i paesi più industrializzati alle esposizioni internazionali di Parigi e di Londra. E che poteva vantare eccellenze e primati quali, la prima ferrovia d'Italia, la prima nave a vapore, l'opificio reale di Pietrarsa, la più grande fabbrica della penisola, il cantiere navale di Castellammare di Stabia, il primo per grandezza di tutto il Mediterraneo, dove furono costruite le due navi scuola della Marina militare Italiana, la Colombo e la Vespucci.
E ancora l industria chimica ed estrattiva che soddisfaceva il 90% del fabbisogno mondiale di zolfo; la produzione di vetri, cristalli e porcellana, quella di Capodimonte, l'opificio di San Leucio, rinomato in tutta Europa per il suo corredo tecnologico. Senza contare che la dotazione infrastrutturale del Paese, pagata da tutti gli italiani, ha modernizzato e favorito lo sviluppo del nord a danno delle regioni meridionali che, per le loro tasse, non hanno avuto alcun ritorno in termini di adeguamento delle reti di trasporti ferroviari, stradali e aerei, se non per quel tanto strettamente necessario a favorire l'esportazione dei prodotti del nord al sud condannato a essere il mercato delle industrie settentrionali.
Ciò premesso, con tutte le attenuanti che necessariamente dobbiamo concedere alla Calabria e al Sud, pur riconoscendo, e non potrebbe essere altrimenti, che alle nostre latitudini esistono e resistono persone di valore, cittadini onesti e laboriosi, ma davvero pensiamo che la soluzione sia inveire contro chi, pur con i limiti di una lettura parziale, sostiene ciò che non è più possibile giustificare?
Io non credo nelle “rivoluzioni” solitarie. La rivoluzione è uno sconvolgimento, un ribaltamento. È annullamento, azzeramento dell’esistente. È la conseguenza dell'impossibilità di una riforma capace di eliminare i rapporti di produzione capitalistici all'interno del capitalismo stesso. Ed è violenta. Per necessità.
Noi, non noi calabresi, noi “brava gente”, non siamo pronti. Non ancora. Manca l’elemento fondamentale. Ma noi, noi calabresi, noi meridionali, avremo compiuto un passo avanti semplicemente dando forma e sostanza alla realtà in cui siamo ineludibilmente immersi.
La verità è cruda e dolorosa. Ma può essere mostrata solo a chi è pronto ad accoglierla. Anche questo sarebbe un atto d’amore
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