Tragedia Le Giare. Sonia Santise e i suoi 15 anni davanti alla morte: "Trascorsi la notte su un tetto. Poi le urla e il silenzio"

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images Tragedia Le Giare. Sonia Santise e i suoi 15 anni davanti alla morte: "Trascorsi la notte su un tetto. Poi le urla e il silenzio"
Foto di archivio del disastro
  10 settembre 2020 13:41

di TERESA ALOI

Aveva solo 15 anni, Sonia Santise. Quel 10 settembre di 20 anni fa era poco più di una bambina. Aveva scelto di vivere una "nuova " esperienza" lasciando ai suoi coetanei gite al mare e passeggiate notturne. 

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E' da allora che ogni mattina, all'alba, si alza e la sua mente corre, mai senza dolore, a quei momenti vissuti come se il tempo non fosse mai passato.  Per lei la tragedia del camping "Le Giare" a Soverato, è molto di più di un anniversario da celebrare. E' quel qualcosa che ti resta dentro, cucito addosso. Una cicatrice che sanguina ancora. 

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Quindici anni non sono tanti, ma neanche pochi per ricordare quel compleanno del 13 settembre del 2000, "festeggiato" davanti a quelle bare in una chiesa affollata durante i funerali di Stato. 

"Avevo deciso di vivere una nuova esperienza  - racconta Sonia - e con mio cognato e mia sorella, che facevano parte dell'Unitalsi,  eravamo al camping Le Giare per trascorrere un campo estivo". Giorni e ore trascorse a cucinare, a rassettare le stanze, a dare assistenza ai disabili. E, perché no, anche a socializzare e a vivere quell'ultimo scorcio di estate tra feste e canzonette. 

Pioveva da diversi giorni, ma nessuno poteva mai immaginare quello che sarebbe successo. La pioggia scendeva giù sempre più insistente. Ma che non fosse un temporale estivo, di quelli che poi passano, lasciando tutt'attorno l'odore di terra bagnata, qualcuno se ne era accorto. "A tal punto che - ricorda Sonia - molte famiglie erano venute a prendere i propri cari". 

Ma loro no. Qualcuno era rimasto al camping. Del resto mancava davvero una manciata di ore alla chiusura del campo estivo. La mattina dopo tutto sarebbe finito e si sarebbe rientrati a casa arricchiti di quella nuova esperienza. 

"Siamo rientrati nei bungalow a tarda sera, dopo esserci salutati con gli altri  con la promessa di rivederci - racconta Sonia - non avevo fatto neanche le valigie promettendomi di farle la mattina dopo".

I vestiti ancora nell'armadio, il borsone ancora ai piedi del letto. "Avrò dormito qualche ora, perché alle 4 mi sono svegliata e, appena scesa dal letto, mi sono accorta di avere i piedi nell'acqua".

Era quello l'inizio della fine. "Le persone cominciavano a capire cosa stava succedendo". Poi le urla, quelle richieste di aiuto che Sonia, se chiude gli occhi, sente ancora. "L'acqua e il fango erano arrivati al materasso, la luce era andata via e la porta non si apriva più".

L'unica via di salvezza, per Sonia, era la finestra. "Sono scappata da lì e, una volta fuori, ho incontrato mia sorella e mio cognato che stava cercando di recuperare l'auto per andar via". E' stato un attimo e l'onda di piena ha invaso il camping trascinando tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Auto, detriti, alberi. E persone.

Il camping non esisteva più. I vialetti non esistevano più. Le aree di ritrovo non esistevano più. Solo lo scheletro dei bungalow. Quei tetti, l'unica ancora per restare aggrappati alla vita. 

"Siamo saliti a cavalcioni su uno di quei tetti con mia sorella e mio cognato - ricorda Sonia - e siamo rimasti lì tutta la notte  fino a quando, intorno alle 9, sono arrivati i soccorsi". Bagnati fradici, infreddoliti, impauriti, senza più nulla. Tutt'attorno il silenzio della morte. Quelle urla, quelle richieste di aiuto, piano piano hanno lasciato il posto al silenzio. Quello più doloroso.   

"Nell'acqua e nel fango galleggiavano tronchi, valigie, detriti, macchine, sedie.  Quell'onda di piena che è scesa a valle ha spazzato via tutto". 

Le luci delle sirene, le urla dei vigili e dei volontari che scavano a mani nude nel fango,  è l'ultimo ricordo di Sonia. 

Poi, la corsa in ospedale, a Soverato, dopo essere stata salvata e "imbarcata" su una ruspa. "Ci hanno tagliato i nostri vestiti e ci hanno dato dei camici ed è così, con i piedi scalzi, che siamo tornati a casa". Nessuna ferita apparente nel corpo. Qualche graffio, ma nell'anima tante cicatrici. Quei sacchi neri con i corpi senza vita dentro, è una di queste.

"Quella notte, tra lampi e tuoni, abbiamo pregato tanto, con la promessa alla Madonna di Lourdes che, se ci fossimo salvati, saremmo andati a renderle omaggio". E così è stato.  A Lourdes Sonia ha pregato per sè e per le tredici vittime che oggi non ci sono più. E per Vinicio Caliò, il cui corpo il mare non ha più restituito agli affetti più cari. 

 

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