Trent'anni senza Falcone e Borsellino, il ricordo di Maria Grazia Leo: "Le loro idee diventino infinita presenza"

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images Trent'anni senza Falcone e Borsellino, il ricordo di Maria Grazia Leo: "Le loro idee diventino infinita presenza"

  19 luglio 2022 10:42

di MARIA GRAZIA LEO

“Il volto di Paolo Borsellino campeggia da qualche giorno sulla parete di un palazzo in via Sampolo. Come 29 anni fa va a raggiugere nella vita, nella morte -e adesso- nell’arte il suo amico e collega Giovanni. Li troviamo lì entrambi, a comporre “La Porta dei Giganti”, a pochi passi dall’aula bunker, ritratti in due loro tipiche espressioni: il sorriso enigmatico del giudice Falcone, lo sguardo teso e preoccupato del giudice Borsellino. Tra terra e cielo, tra sangue e vernice, i due Giganti guardano Palermo, si fanno traccia si fanno segno” Mi piace partire da qui, da queste splendide  pennellate di memoria, così semplicemente tracciate su La Repubblica da Antonella Di Bartolo -nel luglio 2021- per ricordare il trentennale delle stragi di Capaci e di via D’Amelio- 23 maggio e 19 luglio 1992- in cui persero la vita, dilaniati dal tritolo mafioso i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Francesca Morvillo e gli uomini delle scorte Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

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57 giorni furono i giorni che separarono dalla vita alla morte Paolo Borsellino da Giovanni Falcone, definito il suo alter ego; si conoscevano da quando vestivano i calzoni corti e giocavano a calcetto nel loro quartiere della Kalsa a Palermo, prima di indossare la toga di magistrato. Grandi amici e colleghi leali e rispettosi dei loro ruoli fino in fondo, uniti su tutto… un binomio quello tra amicizia e lavoro che non sempre funziona ed è ben visto o consigliato ma che quando emerge e si sviluppa pienamente è la rappresentazione plastica di un sentimento umano e professionale dal sapore antico. Loro erano così, erano persone normali, semplici, genuine che amavano la vita e divertirsi. Erano innamorati e orgogliosi della loro terra d’origine Palermo e della Sicilia tutta e per entrambe si sono battuti fino ad immolarsi, per renderle migliori, più belle ma soprattutto per restituirle il fresco profumo di libertà, riscattandole dai gangli e dal soffocamento del potere mafioso. Uno stato d’animo di amore/odio quello che si potrebbe leggere nel pensiero dei due magistrati, se guardiamo l’odio come il reale presente proiettato sulla città e sulla regione macchiato, invaso dal puzzo della corruzione, del basso compromesso e della violenza mafiosa e l’amore invece che nasce e resiste per dare speranza nel creare le condizioni per un positivo e vivibile futuro.

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In quel 1992 tutto si fermò, tutto si squarciò dal cratere di Capaci al luogo dell’abitazione della madre di Borsellino, dove il giudice si stava recando per farle visita; tutto si dilaniò dalle coscienze e dai sussulti dei singoli cittadini non solo siciliani ma dell’Italia tutta fino allo Stato, alle sue istituzioni, alla magistratura, alla politica… tutti carichi di responsabili colpe, di manifeste negligenze, timidi silenzi, velate impotenze per non averli protetti a sufficienza, per non averli creduti nelle loro intuizioni investigative o invece per averli derisi in vita per il troppo protagonismo mediatico e quindi per averli lasciati semplicemente soli, maledettamente soli, scortati e protetti esclusivamente dal loro senso dello Stato, dalla vibrante etica istituzionale, dalla fedeltà alla Costituzione idealmente cucita nel cuore prima di italiani poi di cittadini al servizio della Repubblica. L’ipocrisia politica e non solo quella politica di chi tentò di recuperare- a sangue ancora caldo- dopo le tragedie, alle mancanze, alle leggerezze, agli errori compiuti lasciano il tempo che trovano e sono lo specchio di una radicata e sfacciata abitudine di chi fonda la sua buonafede nella poca memoria che il paese di solito riserva a sé stesso sui fatti, sulle cose, sulle storie che lo hanno attraversato, segnato nel corso degli anni.

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Se vogliamo essere onesti Giovanni Falcone e per riflesso Paolo Borsellino iniziarono a morire già nella seconda metà degli anni “80”, molto prima di quel indimenticabile 1992. Chi non ricorda le estati dei veleni, dei corvi a Palermo per i quali il Consiglio Superiore della Magistratura indagò Falcone, le delusioni subite per la mancata nomina nel 1988- da parte dello  stesso Csm- a capo dell’Ufficio Istruzione presso la Procura di Palermo, al posto del Consigliere uscente Antonino Caponnetto, che gli preferì invece Antonino Meli, seguendo il criterio di scelta fondato sull’anzianità invece che quello sul  merito; la bocciatura a componente dell’organo di autogoverno della magistratura; le umiliazioni subite e ricevute -quando ricopriva la funzione di Procuratore aggiunto- nel aver dovuto fare anticamera di ore, in attesa di poter conferire con il suo Procuratore capo della Repubblica di Palermo, Pietro Giammanco; ed infine l’amarezza più grande quella di non essere stato nominato a Procuratore nazionale antimafia…proprio lui che era stato ideatore e artefice di questa nuova struttura. Anche Borsellino fu bersaglio diretto di tentativi finalizzati a mettergli un freno nella sua azione giudiziaria, rendendolo meno credibile, delegittimarlo… basta segnalare- per esempio- l’intervista dello scrittore Leonardo Sciascia nella quale attaccò Borsellino, parlando dei professionisti dell’antimafia, quando affermò << Nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura del prendere parte a processi di stampo mafioso>>  Ma nonostante tutto non si sono fermati, hanno resistito onorando la toga istante dopo istante, nei successi conseguiti e nelle difficoltà incontrate, rinunciando ad una vita privata libera e spensierata tipica di tutti noi, vivendo blindati  giorno e notte. Il loro lascito resta un patrimonio immenso per gli operatori di giustizia, per le forze politiche, per gli educatori scolastici, per i promotori di cultura, per la società tutta. Sul piano tecnico giudiziario è stato notevole e da esempio per gli altri Stati il nuovo metodo apportato nell’affrontare il contrasto alla criminalità mafiosa. Parliamo della creazione del pool antimafia ideato dal Consigliere istruttore Rocco Chinnici agli albori degli anni 80-prima di saltare in aria il 29 luglio del 1983 - a causa di una potente autobomba scoppiata presso la sua abitazione, in via Pipitone- e fortemente voluto e perfezionato dal suo successore Antonino Caponnetto il quale fece da scudo a tutti i suoi colleghi- in primis Falcone e Borsellino- che incaricò di occuparsi esclusivamente delle indagini sulla mafia, guardandola e indagandola come un corpo unico o unitario non più frazionata in singole famiglie o specifici filoni ma come sistema di potere piramidale. Questa intuizione fondata su indagini e ricerche di prove scrupolose e dettagliate- delle quali Falcone era un maestro - rivoluzionò fortemente l’azione antimafia e sfociò nel primo storico maxi Processo alla mafia iniziato a Palermo nel febbraio 1986 e terminato nei tre gradi di giudizio in Cassazione, il 30 gennaio del 1992. Alla sbarra finirono più di 400 mafiosi, con un totale di 19 ergastoli inflitti al gotha mafioso e 2665 anni di reclusione per gregari e affiliati. Un metodo purtroppo non sempre colto, recepito e applicato da una parte degli inquirenti.

Quel 23 maggio e 19 luglio del 92’ Palermo venne colpita a morte ma nonostante si presentasse così sanguinante, riuscì a mantenere vivo il battito dei suoi respiri, a ferita ancora aperta. È come se dallo squarcio di un cratere e di una via si aprisse controcorrente uno squarcio di cielo, un barlume di luce, un anelito di speranza. Una resistenza di popolo, di paese, trasformò quella che era rimasto fino ad ora -il contrasto alla mafia- un compito che spettava solo alla magistratura, alle forze dell’ordine e allo Stato, in una sfida ideale, in una battaglia corale, civile che da quel momento avrebbe coinvolto tutti, indistintamente. Assistiamo alla rivolta, alla ribellione delle coscienze, all’esposizione dei lenzuoli bianchi sui balconi della città, alle manifestazioni per le strade e per le piazze palermitane, italiane a dimostrazione di aver compreso la lezione, sì con il sangue però, con il dolore per la perdita dei valenti giudici che da quel momento assunsero le sembianze di eroi ma con la consapevolezza che quella rabbia, quella sofferenza per quei corpi divenuti brandelli avrebbero fatto da impulso, da deterrente ad una voglia di riscatto morale e orgoglio civico mai dimostrato prima, in questa intensità. La richiesta continua e costante di giustizia, legalità, di diritti si diffondeva e agiva in parallelo con la ricerca spasmodica sulla verità giudiziaria riguardo le stragi di Capaci e via D’Amelio, che ancora oggi non hanno trovato certezze almeno sul lato dei mandanti occulti, di quelle menti raffinatissime che hanno manovrato nell’ombra dando copertura e supporto alla manodopera mafiosa che ha organizzato nella pratica gli attentati.  Basti rammentare come siano state eseguite le indagini sulla morte di Paolo Borsellino  e della sua scorta…ancora oggi ci troviamo difronte ad indagini delle Procure sulle Procure e sugli inquirenti che hanno indagato su via D’Amelio,  ancora oggi si celebrano o si chiudono processi sul depistaggio di Stato più grande della storia, messo in scena per occultare la verità che se non è giunta al suo termine giudiziario a causa della prescrizione, della morte degli indagati, del silenzio di chi sa e ancora non parla, certamente al finale storico-drammatico è già arrivata. “Io so, tutti sappiamo ma non ho, ma non abbiamo le prove per dimostrarlo” sosteneva il grande, acuto e fine Pasolini! Ormai dell’intreccio affaristico-politico-mafioso, condito dal supporto di Servizi segreti deviati e/o massonerie occulte, con nomi, cognomi e funzioni ne sono pieni gli scaffali, gli archivi storici, i copioni degli spettacoli teatrali di impegno civile, le cineteche. Basta lanciargli uno sguardo, se rapiti dalla curiosità e mettere meglio a fuoco frammenti di verità…

Precedentemente abbiamo accennato all’eredità giudiziaria che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno trasmesso…ma c’è anche un lascito morale, una testimonianza umana da non trascurare e che è stata rivolta, dedicata alla società nella sua interezza ed in primis alle nuove generazioni: il loro credo verso il sentimento di giustizia e l’affermazione della legalità come base per l’affermazione dell’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, del lavoro come diritto e non come favore, dell’essere sempre se stessi e lottare con coraggio nelle cose in cui si riversano i propri sogni, le proprie ambizioni, le proprie speranze. Tutto ciò loro lo hanno fatto, con tutta la passione e con tutta l’anima, fino all’ultimo respiro e per questo a loro- senza dimenticare i loro angeli custodi in divisa- dovremmo inchinarci e rivolgere il nostro grazie…ma come fare? Semplicemente vivendo la nostra quotidianità a testa alta, facendo il nostro dovere con normalità e spirito di servizio, portando quei loro sorrisi, quei loro sguardi, quelle loro idee nei nostri cuori e nelle nostre azioni".

   

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