Di fronte ai continui attacchi ai diritti riproduttivi delle donne, è necessario riportare al centro del dibattito pubblico una verità semplice ma essenziale: il corpo femminile non è un campo di battaglia ideologico, ma un territorio di libertà.
Nel 2025, parlare di aborto e contraccezione non dovrebbe più essere un atto rivoluzionario. Eppure, lo è. In Italia come in molte altre parti del mondo, il diritto all’autodeterminazione delle donne sul proprio corpo continua a essere messo in discussione. Le recenti polemiche sull'accesso all'aborto farmacologico, l’aumento degli obiettori di coscienza negli ospedali pubblici, e le nuove spinte politiche conservatrici riportano la questione al centro della scena. La legge 194, approvata nel 1978, garantisce in Italia il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. Ma tra il dire e il fare, c’è di mezzo una realtà fatta di ostacoli. In molte regioni italiane, fino al 70% del personale medico si dichiara obiettore.
Questo rende difficile, se non impossibile, abortire in modo sicuro e tempestivo, soprattutto per le donne più giovani o con minori risorse. Nel frattempo, in Europa e nel mondo, la situazione oscilla tra aperture e restrizioni. Se la Francia ha inserito il diritto all’aborto nella Costituzione, alcuni stati americani lo hanno praticamente abolito, trasformando le donne in bersagli delle leggi più punitive. La contraccezione dovrebbe essere una scelta libera e informata. Eppure, molte giovani donne riferiscono di non ricevere adeguate informazioni su metodi contraccettivi efficaci, o di non potersi permettere i costi di alcuni dispositivi, come la spirale o l’anello vaginale. La contraccezione d’emergenza, come la pillola del giorno dopo, è ancora oggetto di stigma, con farmacisti che rifiutano di venderla per motivi etici.
Secondo l’ultimo rapporto dell’AIFA, solo il 22% delle donne italiane in età fertile utilizza un metodo contraccettivo moderno. Una percentuale bassa, che riflette anche una carenza strutturale nell’educazione sessuale nelle scuole. Difendere il diritto alla scelta non significa promuovere l’aborto, ma riconoscere che ogni donna ha il diritto di decidere per sé stessa. Nessuno sceglie un’interruzione di gravidanza con leggerezza, così come nessuno dovrebbe subire una maternità non voluta per mancanza di alternative. Il diritto alla salute sessuale e riproduttiva è un pilastro dei diritti umani. Ma non è sufficiente avere una legge.
Serve una cultura che supporti la libertà femminile, che informi senza colpevolizzare, che garantisca accesso reale, non solo teorico, ai servizi. In un momento storico in cui alcuni vorrebbero riportare le lancette dell’orologio indietro, è fondamentale alzare la voce. Parlare di contraccezione e aborto significa parlare di libertà. E la libertà, per essere tale, deve poter passare dal corpo: il primo territorio che una persona possiede. Difendere il diritto di scegliere non è solo una questione femminile. È una questione democratica.
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