di RITA TULELLI
Gli abusi, fisici o psicologici, non nascono nel vuoto. Prima che si manifestino in forme evidenti e riconoscibili, trovano spesso terreno fertile in un contesto sociale che li rende più probabili, più accettati o più difficili da denunciare. Tre meccanismi, in particolare, alimentano questo terreno: le battute sessiste, la colpevolizzazione della vittima e le discriminazioni sottili. La battuta “innocente” sulla donna incapace di guidare o sull’uomo che deve essere sempre forte e dominante può sembrare solo umorismo leggero. In realtà, queste frasi funzionano come piccole iniezioni di stereotipi che consolidano ruoli di genere rigidi.
Ridendo di queste battute, si contribuisce a rendere “normale” l’idea che alcune persone valgano meno o siano definite unicamente dal loro genere. È un passo silenzioso verso l’accettazione di comportamenti più gravi, perché sposta i confini di ciò che consideriamo accettabile. Frasi come “se l’è cercata” o “poteva dire di no” non solo ignorano la dinamica di potere negli abusi, ma spostano la responsabilità dal colpevole alla persona che ha subito il danno.
Questa narrazione indebolisce la possibilità di denunciare, perché la vittima teme di non essere creduta o, peggio, di essere accusata. Al contempo, rafforza nei potenziali abusatori l’idea che esistano scuse o attenuanti per le proprie azioni. Le forme più pericolose di discriminazione non sono sempre quelle esplicite. Interrompere sistematicamente una donna durante una riunione, dare meno peso alle sue idee o escluderla da opportunità informali sono micro-comportamenti che, accumulandosi, creano un clima di marginalizzazione.
Queste micro-discriminazioni erodono la fiducia in sé stessi e nel proprio diritto a essere trattati con rispetto, rendendo più difficile reagire di fronte a un abuso conclamato. Battute sessiste, colpevolizzazione della vittima e discriminazioni sottili non sono episodi isolati: sono parte di un ecosistema culturale che, a volte inconsapevolmente, rende più facile abusare e più difficile opporsi.
Sradicare questi atteggiamenti significa spezzare la catena prima che si arrivi alla violenza. Vuol dire educare al rispetto, riconoscere le micro-aggressioni, e smettere di considerare “esagerata” la sensibilità di chi le denuncia. La violenza non è solo un atto, è un processo. E come ogni processo, può essere fermato prima di arrivare al suo culmine. Ridere di una battuta sessista, accusare la vittima o ignorare una discriminazione sottile può sembrare insignificante, ma è proprio lì, in quei piccoli gesti, che si annida la radice degli abusi.
Cambiare il linguaggio e i comportamenti quotidiani non è un dettaglio di civiltà: è prevenzione concreta.
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