di RITA TULELLI
Viviamo nell’epoca dello scroll infinito. Basta un dito sullo schermo per entrare nelle vite degli altri, vedere sorrisi perfetti, corpi scolpiti, storie d’amore da film e carriere da sogno. Su Instagram, TikTok e Snapchat la realtà sembra più luminosa, più felice, più… “giusta” rispetto a quella che vediamo allo specchio ogni mattina. E così, quasi senza accorgercene, iniziamo a confrontarci. Ci chiediamo perché la nostra vita sembri meno interessante, perché non siamo così belli, così popolari, così realizzati come chi appare sul nostro feed. La verità, però, è che i social sono una vetrina. Mostrano solo ciò che le persone vogliono far vedere: il lato migliore, il momento perfetto, la luce giusta, il filtro che cancella ogni imperfezione. Eppure, anche se lo sappiamo, continuiamo a cadere nella trappola del paragone. Uno studio dell’Università di Pittsburgh ha rivelato che chi passa più di tre ore al giorno sui social ha tre volte più probabilità di sviluppare ansia e depressione rispetto a chi li usa meno.
Non sorprende. Scorrere immagini costruite per sembrare perfette può erodere lentamente l’autostima, soprattutto quando stai ancora cercando di capire chi sei e cosa vuoi nella vita. C’è poi l’effetto delle notifiche, dei like, dei cuori che appaiono sullo schermo. Ogni volta che il telefono vibra, il cervello rilascia una piccola dose di dopamina, la stessa sostanza chimica che ci dà piacere quando mangiamo cioccolato o vinciamo una partita. Così, senza accorgercene, iniziamo a misurare il nostro valore attraverso questi numeri. Più like significano più approvazione. Meno like? Un senso di fallimento che ci spinge a cancellare il post o a cambiare il modo in cui ci mostriamo, pur di piacere agli altri.
E mentre i social promettono connessione, capita spesso che portino isolamento. Le relazioni diventano liquide. Ghosting, amicizie che nascono e muoiono in chat, messaggi che rimangono visualizzati senza risposta. Intanto scorriamo le storie di chi sembra divertirsi senza di noi, e quella sensazione di esclusione prende il nome di FOMO: la paura di restare fuori, di perderci qualcosa di importante, di non essere abbastanza. Eppure, i social non sono il nemico. Sono strumenti potenti: possono avvicinare chi è lontano, ispirare, dare voce a chi non ne aveva. La differenza sta in come li usiamo. Possiamo imparare a seguirli con consapevolezza, a scegliere chi e cosa vogliamo vedere, a ricordare che dietro ogni foto perfetta c’è una persona reale con le stesse insicurezze che proviamo noi. Possiamo darci dei limiti, chiudere l’app quando ci accorgiamo che invece di ispirarci ci sta facendo sentire meno. Soprattutto, possiamo smettere di cercare la conferma del nostro valore in un numero di cuori su uno schermo. Forse la prossima volta che scorri il feed, prova a fermarti un momento e a chiederti: “Quello che sto vedendo mi sta facendo bene o mi sta consumando?” La risposta potrebbe sorprenderti.
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