di FRANCO CIMINO
Serve ubbidire alle disposizioni delle autorità se vogliamo sconfiggere la pandemia”, lo ha ripetuto Francesco anche stamattina dalla piccola cappella di Santa Marta. “ Se vuoi bene all’Italia mantieni le distanze. Le cose stanno andando meglio, ma non abbiamo ancora vinto. Occorre restare prudenti e non aprire tutto in contemporanea.” Sono le ultime parole di Giuseppe Conte. Io sono cattolico e credo alla parola educante del Papa. Sono un cittadino e confido nelle posizioni assunte dal Presidente del Consiglio. Sono anche calabrese e rispetto molto le preoccupazioni espresse da Iole Santelli in ordine alla eccessiva euforia che potrebbe ricadere sui numeri assai scarsi che il virus ha totalizzato nella nostra regione. Si sta andando bene. Se non ci fossero quei morti, per fortuna non in numero elevato, potremmo dire che qui ce la siamo cavata molto bene. Sul Presidente della regione ricade una responsabilità enorme e non oso dubitare della sua conoscenza della situazione interna e sulla sua buona fede nell’interpretarla. Io sono nel corpo vivo del Paese con la mia famiglia e le mie due figlie, e capisco che gli italiani non ce la fanno più a stare chiusi. Si avverte in tutti una certa stanchezza e la conseguenza fisica e morale per il lungo fermo. È stato un tempo sufficiente per riflettere su noi stessi e sulla società, sulla nostra salute individuale e sociale, sulla nostra percezione dell’io e del mondo, sul nostro rapporto con la natura e i nostri simili? È stato un tempo utile per riscoprire il gusto delle cose perdute, di quelle dimenticate, dei sentimenti offuscati, dei nostri amori passati e delle relazioni amorose e anche sessuali scontate e stancate? Sono state settimane bastevoli al nostro intimo bisogno di scrutare la realtà in modo diverso, ed esse hanno acceso pienamente le luci sul nostro intelletto per ricavarne finalmente una capacità di lettura critica, autonoma, della vita e di ogni fatto, politico e istituzionale, che la vita anima o imprigiona? E la nostra spiritualità, che nei giorni in cui il virus camminava a tremila ricoveri e settecento morti al giorno si era accesa del bisogno di Dio, si è radicata nell’animo umano o si è fermata dinanzi a quella porta da cui avremmo già scacciato paura e ansia? Infine, quella promessa di essere buoni, che su quella paura ci eravamo fatta tutti, saremo in grado di mantenerla? E ancora, ci sentiamo già soddisfatti per la carità momentanea che nei giorni più duri abbiamo esercitato verso chi non aveva neppure il cibo e un tetto, ma solo figli da far mangiare e vecchi da ricoverare? Soddisfatti che quella nostra pietà verso la povertà, emersa con durezza dalla riservata dignità di chi la vive e dai nascondimenti dei nostri egoismi, nutrisse il nostro dovere di cittadini? Gli ultimi giorni di prigionia li stiamo vivendo stretti nella curiosità su quale mondo troveremo, se esso sarà migliore di come l’abbiamo lasciato ed anche se noi saremo diventati più belli di lui, com’era e com’è sarà. Si uscirà il quattro maggio. Ormai, è certo. Le disposizione sulla cosiddetta fase due contengono una tale elasticità e ambiguità da farci ritenere davvero che si è, nelle condizioni date, al” liberi tutti”.
Si comprende bene, dietro le frasi mozzicate di Conte, che il metodo del rigore poi trasformatisi in quello della prudenza, su cui hanno costruito le barricate le autorità sanitarie, stia di fatto cedendo. Non si comprende, pertanto, il rumore che tutte le interessate opposizioni stanno facendo in queste ore cannoneggiando in lungo e in largo palazzo Chigi. Si sono elevati i toni della polemica politica in modo davvero strumentale, concedendo anche ad autorità di particolare sensibilità morale forme d’attacco e una certa irata verbosità davvero inusuale per quei ruoli. Qual è l’accusa che viene lanciata e la contemporanea richiesta? I tecnici( sono quelle alte figure scientifiche che abbiamo chiamato per salvare vite umane, non dimentichiamolo) devono arretrare di molto dal campo delle decisioni politiche. La politica deve allontanarli più di un poco da sé per riprendere piena autonomia decisionale. Inoltre, deve essere subito restituita la parola al Parlamento, per porre fine a questa sorta di sospensione della democrazia in Italia. Siamo a un passaggio assai delicato. Davvero, proprio a un bivio. Se si sbagliasse l’imbocco, la rovina non sarà solo l’aver vanificato sforzi compiuti con coraggio da tutti gli italiani, specialmente dalle poche migliaia che hanno lavorato nella più dura trincea. La rovina sarà data da uno scenario di guerra persa su tutti i fronti e con tempi e risorse quasi estinti per la ripresa. Dalla Germania, proprio oggi pomeriggio, sono arrivate notizie preoccupanti. Il rapporto tra contagi e popolazione, che aveva raggiunto un buon 0,8, è passato in poche ore a +1. Non so esattamente, cosa significhi e non mi azzardo a farmi scienziato, come molti tendono a fare trasformandosi in medici, virologici, biologi e altro. Capisco, però, il segnale che ne viene fuori. So per certo che esso significa che il virus è in agguato e non guarda né alle parti politiche, né alle confessioni religiose, neppure alle crisi economiche o alle povertà derivanti. Sollecita prudenza nella riorganizzazione del sistema e correttezza nei cittadini che riprendono a circolare nelle proprie realtà urbane. Premesso che il grido che sale dal mondo del lavoro, globalmente inteso, è autentico come il dolore che lo provoca, bisogna dire che la durezza della polemica partitica e “ frazionistica” non si comprende se non dentro quel quadro di divisione interna che brutta figura ha fatto fare all’Italia nel mondo e tanta incertezza genera nei diversi ambienti sociali. Lo scenario politico resta sempre teso alla ricerca del consenso in luogo del bene supremo della Nazione.
L’emergenza e la sua gestione sembra sempre più un campo per lo scontro politico e il cambio degli equilibri di potere che non quello di una unitaria difesa nella guerra mossa da un nemico esterno a tutto intero il nostro Paese e non solo. Si attaccano provvedimenti, anche gli ultimi così carichi di ambiguità, di compromesso e di ogni nuova possibile apertura, per attaccare Conte e la sua posizione, che si vorrebbe pure traballante. Neppure il Papa viene risparmiato. Anzi, a Lui arrivano insulti davvero incredibili, soprattutto dagli ambienti più arretrati del mondo cattolico. C’è qualcuno che ha in contemporanea ironizzato per quell’incontro di una settimana fa tra il Pontefice e il presidente del Consiglio, magari intravedendo in esso una sorta di patto contro gli italiani, per affossare definitivamente l’Italia sì forte e fiera. È evidente che sulle spalle del Paese reale, quello che pagherà un prezzo neppure immaginale alla crisi da coronavirus, si sta giocando una brutta partita di potere. Una sorta di poker in un invisibile tavolo attorno al quale siedono quelle ombre giganti, che già abbiamo visto all’opera in questo cinquantennio di ripetiti attacchi sotterranei alla democrazia e alla sua crescita civile e morale verso l’affermazione piena degli ideali costituzionali della parità, dell’eguaglianza, della giustizia e della libertà. Ancora una volta, la parola torna agli italiani, alla loro capacità di difendere il Paese, la democrazia e la sua autonomia rispetto a forze oscure e a poteri corrotti e corruttori. Se questa emergenza, invece che indebolire la loro coscienza democratica l’avrà rafforzata, innestandovi l’intelligenza politica per cogliere l’invisibile nelle cose visibili, e il coraggio di lottare per la difesa della democrazia quale bene primario e non negoziale in nessuna sua parte, allora non ci sarà da temere alcun virus. Non quello asiatico o di provenienza incerta. E neppure quello della cattiveria, che si nutre e cresce nella società priva dell’antidoto della cultura e della spiritualità profonde.
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