Un "salto" nella Catanzaro del passato ricordando Michele Manfredi in una ricerca di Francesca Rizzari

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images Un "salto" nella Catanzaro del passato ricordando Michele Manfredi in una ricerca di Francesca Rizzari
Francesca Rizzari
  05 maggio 2025 17:18

Un salto all’indietro nella storia di Catanzaro è un esercizio che aiuta a conoscere sempre di più, e meglio, la Capitale della Calabria. Grazie a quanto hanno dato, con il loro ingegno, con l’esaltazione dei loro valori etici, personaggi degni di essere considerati “illustri”. Oggi il “salto all’indietro” lo fa fare ai nostri lettori la dottoressa Francesca Rizzari, ricercatrice e storica, presentando un personaggio catanzarese veramente illustre: Michele Manfredi.

Chi è anzitutto Michele Manfredi? Quale è stato il suo coinvolgimento nello sviluppo di una Catanzaro di tempi che furono? Leggere non soltanto per semplice curiosità ma anche e soprattutto per…apprendere.

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 di Francesca Rizzari

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Michele Manfredi Ingegnere e architetto, nacque a Catanzaro il 25 maggio 1820 da Giuseppe Antonio Manfredi e da Pasqualina Custo, figlia del proprietario di un’antica filanda risalente al XV sec. in Via Bellavista.

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Il padre, molisano di Cantalupo del Sannio, aveva seguito Napoleone nella Campagna di Russia ed era sceso in Calabria col battaglione dei Veliti al seguito di Murat. Da avvocato penalista si era più volte affiancato a Giuseppe Poerio e nel processo del 1823 aveva difeso i fratelli Marincola e Luigi Pascali accusati di cospirazione a danno del regno borbonico. Una sorella, Camilla, fu moglie di Giuseppe Rossi, avvocato, senatore e sindaco della città, nonché suocera del garibaldino Achille Fazzari; un’altra, Ottavia, convolò a nozze con il Generale Emilio Pallavicini, marchese di Priola legato all’episodio di Aspromonte e venuto a Catanzaro a debellare il Brigantaggio. Il fratello Cesare “decoro del foro catanzarese” (giornale Il Potere) fu avvocato civilista e curatore legale di grandi famiglie (Fiore, Compagna, Gallo)

Laureato a Napoli, Michele Manfredi all’età di venticinque anni è interpellato in qualità di perito di parte, come risulta dalle Opere pubbliche, dai signori Domenico Bova per i fondi Bova e Bernabò, da Domenico Pugliese, da Gennaro Menichini per i danni provocati nel fondo Campagnella, da Tommaso Marincola Tizzani per i fondi di S. Olivio e Piè della Sala, da Tancredi de Riso per il fondo S. Anna, tutti in seguito all’apertura del primo tratto di strada Catanzaro-Crotone, la cui realizzazione protratta nel tempo sarà affidata allo stesso Manfredi.

L’Archivio di Stato custodisce un suo progetto relativo alla bonifica dei fiumi Clemenza e Bruca e delle campagne adiacenti di proprietà dei comuni di Chiaravalle, Cardinale e Torre Ruggiero completato nel 1846. E ancora nel 1856, l’ingegnere scrive al Prefetto perché faccia da intermediario con i sindaci acché venga compensato del lavoro prestato.

A lui si deve il primo reticolato delle strade consortili della Calabria Ultra II e ancora la costruzione a doppio uso, stradale e ferroviario, dei ponti sui fiumi Fiumarella, Corace, Alli, Crocchio, Simeri, Alessi e Tacina.

Negli anni 1840-50 i vescovi Franco e de Franco gli affidano la ristrutturazione di tutte le chiese cittadine, comprese quelle di Gagliano e l’elevazione del bel campanile del Duomo per sistemare le cinque campane preesistenti. Si costruiscono i muri a torre di sostegno poggiati su via XX Settembre per dare ulteriore stabilità alla Cattedrale.

A lui ancora si devono le filande: l’una in via Alessandro Turco, oggi M.A.R.C.A., e l’altra all’angolo di via Ercolino Scalfaro e via Mario Greco.

All’indomani dell’Unità d’Italia i centri più importanti della penisola presentano una pianta urbanistica valida, data dai governi succedutisi nel tempo. Il Meridione, invece, rileva deficienze avendo la dinastia borbonica operato a macchia di leopardo.

La città di Catanzaro ha un aspetto tipicamente medievale: a sud Porta Granara o Marina, da dove passano i contadini per portare la merce da vendere, a nord Porta di Terra o Montanara, a ovest la Casa Vescovile con il seminario annesso e a est i palazzi nobiliari. Dopo il 1815, la città ha acquistato importanza per la posizione geografica centrale, è sede della Corte di Appello, dei comandi principali militari e delle scuole universitarie che accolgono studenti di tutta la regione. Riguardo l’istruzione, vanta un regio liceo, la scuola normale, scuole tecniche e le elementari con pochi alunni frequentanti per carenza di insegnanti. Il Consiglio comunale di Catanzaro è composto da proprietari terrieri e da pochi professionisti. La Municipalità è instabile, sebbene il Sindaco di nomina governativa. Il popolo è costituito da piccoli braccianti agricoli, domiciliati nei rioni di S. Barbara, la Grecìa, il Carmine, la Vallotta, la Maddalena, che si dedicano alla raccolta di piante spontanee dei vari orti e di foglie di gelso per la debole industria serica. Le zone limitrofe, come Gagliano, S. Maria, Siano e altre, sono prettamente agricole e di proprietà di poche famiglie benestanti. Gli artigiani operano tra le parrocchie di S. Maria de Figulis e di S. Maria di Mezzogiorno. Le botteghe dei generi alimentari sono in mano agli “amalfitani”, imparentati tra loro. I professionisti, soprattutto avvocati, pochi i medici e provengono dai paesi della provincia. I giornali locali sono portavoce di tanta miseria e di tanto malessere nella popolazione. Molti i bambini esposti e i più muoiono per scarsa e inadeguata nutrizione, per il freddo e per mancanza di igiene.

Nel 1863 il Consiglio Comunale propone l’idea di un Piano Regolatore della Città, perché questa assuma un aspetto dignitoso ed efficiente. Viene così nominata una Commissione di tre architetti: Michele Manfredi, Vincenzo Parisi e Pasquale Gigliotti, i quali il 29 novembre 1864 presentano una sommaria programmazione che vuole un ampliamento verso nord per la costruzione di un quartiere militare, la necessità di un nuovo acquedotto che eroghi a domicilio e un impianto d’illuminazione a gas. Non si demolisce Porta Marina definita da alcuni una grotta per l’effigie sacra molto cara ai catanzaresi memori dell’episodio del brigante Panedigrano intenzionato a saccheggiare la città ma fermato proprio dal vescovo rappresentato nel dipinto.

Lo sventramento del corso Mesa inizia da Bellavista (la villa) con l’abbattimento dell’arco con icona e dell’area che congiunge il Convento dei Paolotti con il caseggiato di fronte e, per ampliare la strada, si arretra di 4 metri parte della struttura religiosa. Il sindaco de Riso chiede il permesso alla Cassa ecclesiastica perché si tagli parte del giardino del Convento di Santa Caterina da Siena per creare una via che conduca alla strada di San Francesco, la parte restante sarà caseggiato Felicetta. Nel 1868 si procede alla sistemazione di via Aranci con l’abbattimento del suolo e il reticolato dei vicoli e la via sarà intitolata al prefetto Sensales per l’impegno profuso alla realizzazione del progetto. Nello stesso anno, si procede alla costruzione di Palazzo Alemanni. Il 16 aprile 1868 si stabilisce la costruzione della strada che da Piazza Mercanti (Grimaldi) porta al Municipio, alla quale si dà il nome di Principe Umberto (Guccerie dalla macelleria Curcio). Si rileva un abbassamento e un innalzamento del livello stradale. Si prevede un Mercato coperto per i vari ambulanti della città. Sempre col sindaco Sanseverino per l’allargamento del corso limitato a 5-8 metri vengono espropriate le case a palizzata di Corrado, Marazziti, una bottega del sig. Catanzaro che nel 1870 saranno vendute a Fazzari, il quale comprerà sette metri del suolo pubblico su cui sorgerà la parte bassa del suo palazzo.

Nel 1869 si crea l’Ufficio Tecnico Comunale e a Manfredi, unico esecutore del piano, si affida la dirigenza. Nel ringraziare, il professionista scrive: “Io nell’accettare prometto adoperarmi per meritare la benevolenza dell’amministrazione e, se difetto, dipenderà dalla mente ma non dal cuore”. La sua programmazione, già in atto, si basa su alcuni elementi: ingresso dell’abitato, strade, edifici, miglioramenti igienici e sanitari. Tra il 1870-75 in piazza Santa Caterina, per evitare strozzature in via Cavour, si esegue un taglio di palazzo Iannoni, che viene accorpato a casa de Cumis e così anche per il palazzo prospiciente Iannelli e di là a salire per le facciate di altri edifici. Per l’esecuzione dei progetti, Catanzaro è una delle prime città d’Italia a utilizzare il cemento armato.

Viene ridotta parte del Castello per attuare una strada di circumrotazione (via Carlo V) e viene innalzata la torre in stile coevo. Inoltre, si effettua l’abbassamento da Piazza Garibaldi fino a Porta di Terra, già demolita, quindi si procede col rifacimento della bella gradinata a due bracci di San Giovanni per riequilibrare il dislivello.

Solo dopo il terremoto del 1832 la città ha mirato a estendersi verso Madonna dei Cieli, dando origine a rione Baracche e poi Baraccone, quindi le prime case a palizzata come prevenzione antisismica.

Per quanto riguarda il Cimitero, ai lavori iniziati nel 1840 con l’esproprio di un terreno dei Mannella, si aggiunge nel 1868 la parte bassa, oggi ingresso, con l’acquisto di un appezzamento di terreno da adibirsi a campo di Marte, sempre dalla proprietaria, signora Albina Scoglio sposata Marincola. Il progetto, non rispettato nel tempo, vuole muri perimetrali dati da un susseguirsi di cappelle gentilizie e la parte centrale di tombe di famiglia con eventuali statue in marmo bianco.

Dalle relazioni del sindaco Francesco De Seta per gli anni 1877-78 si evince la mole dei lavori portati a termine. Con l’acquisto dei suoli dei signori Cricelli e del sig. Melia e la concessione di una piccola zona di terreno della provincia, si realizza il Giardino pubblico dotato di cancello, palco per l’orchestra, piantagioni. I lavori in ferro sono affidati alla ditta Manganaro di Messina. Il basolato di via De Grazia è ultimato fino a Piazza Garibaldi e così per Piazza vecchia, sotto casa Mottola, ampliata con in taglio del giardino Lepiane; vengono sistemati il Pianicello, via De Iesse e via San Pancrazio e Santa Maria, la strada Catanzaro-Pontegrande che, partendo dalla Rocca per la contrada Prattica, completa il giro di circumvallazione. Per l’illuminazione a gas i tubi giungono da Glasgow. Sono installate due fontane, l’una in piazza Roma e l’altra in piazza Cavour. Si costruisce una fognatura dinamica. La stazione ferroviaria si amplia per interessamento del deputato Grimaldi.

Non sono trascurati i villaggi: Marina, con la realizzazione del rettifilo che porta, attraverso il ponte di ferro, al centro e la dotazione di acqua trovata nel fondo Mannella e l’illuminazione del Camposanto; per Gagliano si prolunga il fondo nero e si crea un ossario; per Pontegrande si costruiscono il selciato, la fontana e strade di accesso.

Per quanto riguarda l’abbellimento della città, è necessario ingrandire il Palazzo Municipale, acquistato nel 1863 dalla famiglia De Nobili e sistemata la facciata che guarda al giardino pubblico. Si incarica l’Ufficio Tecnico per la sistemazione e l’intonaco delle facciate e delle eliminazioni delle scale esterne. Il Teatro Comunale viene corredato di orologio e i camerini resi più accoglienti. Le vetture pubbliche (carrozze) sono controllate e dipinte, i vetturini dotati di divisa. I proprietari dei negozi si forniscono di insegne, mentre gli artigiani che svolgono lavori rumorosi sono allontanati dal centro cittadino.

Quanto alla pubblica igiene, sorge un lavatoio pubblico (Fontana Vecchia) che accoglie le lavandaie facili a infezioni, alcune delle quali morte di peste. Sono regolate le stalle pubbliche e private, viene curata la nettezza urbana.

Il piano regolatore di Manfredi non viene completamente espletato nella costruzione di una strada di 8-10 metri di larghezza che dal palazzo Municipale, percorrendo via Tripoli con un’ardita opera a più archi, si sarebbe collegata a Bellavista e Porta Marina.

Manfredi muore il 28 febbraio 1902 e due anni prima implora al Sindaco la retribuzione del lavoro svolto nel 1889 riguardo la condottura delle acque potabili in città: «Abbandonai per difetto di tempo la lucrosa professione di Ingegnere Civile da me esercitata extra ufficio, le conseguenze di tale direzione sono state sinistre ed esiziali. Contrassi nel traforo del Trifoglio due bronchiti micidiali. Caddi quasi fulminato, colpito da insolazione, rimanendo circa due mesi inerte con pericolo di vita. Ebbi per colmo ostinate febbri telluriche, quali malanni hanno sciupato la mia salute per la tarda età».

Così scrisse Evellino Marincola sul giornale La giostra: «Lasciò poi nel suo attivo morale un altro titolo, la povertà ed è il suo maggiore onore».

Le esequie, come scrive Cesare Sinopoli, riuscirono imponenti come non mai. Il corteo si formò da San Francesco a Piazza Roma con la partecipazione di tutta la gente perché amato per la sua eccessiva generosità e la dedizione al lavoro.

La lapide del loculo al Cimitero così lo ricorda: «A Michele Manfredi. Ingegnere capo di questo Comune. Nella vita, nell’ufficio, nella famiglia, saggio, alacre, generoso, integerrimo. Il Comune pose a duraturo riposo».

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