Uranio impoverito, Lorenzo e la sua battaglia per continuare a vivere (VIDEO)

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  08 luglio 2019 20:37

di TERESA ALOI

ARRIVA a Catanzaro da Palermo in un  pomeriggio dove la colonnina di mercurio segna oltre 30 gradi. Ma Lorenzo Motta,  ex sotto capo di terza classe della Marina militare italiana, non perde il sorriso. Lì, nello studio del dottore Montilla si sente a casa. Tra qualche minuto si sottoporrà a quella infusione che, una volta finita, gli toglierà quel senso di pesantezza alle gambe.  Lorenzo è uno dei tanti militari in cura con il protocollo ( leggi qui i dettagli) per eliminare ogni traccia di metallo nel suo corpo: un protocollo disintossicante che disancora tutte le nanoparticelle presenti nel corpo.   

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Arruolato nel 2002, a  bordo della nave Scirocco, (unità missilistica, antisommergibile)  ha partecipato  a sei missioni all’estero –Tunisia, Turchia, Afghanistan –tra le quali svariate operazioni di antiterrorismo e antipirateria,    oltre ad aver partecipato a una serie di   campagne  umanitarie nel golfo Persico e dietro lo stretto  di Gibilterra. “ Il mio ruolo a bordo era quello di specialista del sistema di combattimento telecomunicatore – ricorda  Lorenzo – mentre a terra ci facevano fare anche attività non convenzionali  come, ad esempio, la distruzione di carta classificata con l'ausilio di  bottiglie di benzina”. “Nel  2005   mi accorsi di una tumefazione al  lato cervicale destro – racconta – e a dicembre dello stesso  anno i medici diagnosticarono  il linfoma di Hodgkin, una patologia che attacca il sistema linfatico”.  Otto cicli di chemioterapia, 35 di radioterapia. E  intanto  dagli accertamenti viene fuori  che nel corpo di Lorenzo  sono presenti nanoparticelle di metalli pesanti nel suo corpo. Inizia la sua battaglia per guarire , certo, ma anche  “per aiutare  chi si trova nelle mie  stesse condizioni”. Intenta la causa al Ministero “ormai è una questione di principio e continuo finché sono vivo, malgrado le difficoltà”.  La sua storia  è seguita dall’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Ona –l’Osservatorio nazionale sull’amianto - e dall'avvocato Pietro Gambino di Palermo e lui fa parte del lunghissimo elenco di persone in divisa che si sono ammalate a causa dell’uranio impoverito scaturito dall’esplosione di ordigni bellici e vaccinazioni senza controllo. 

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Ancor prima di sapere, nel 2011, che nel suo corpo sono presenti metalli diversi, dall’alluminio al ferro al nichel persino oro,   chiede la dipendenza da causa di servizio e la definizione di vittima del dovere, due benefici riconosciuti da distinti decreti del presidente della Repubblica. Richiesta inoltrata al ministero della Difesa e trasmessa al Comitato di verifica, organo consultivo del ministero dell’Economia e delle finanze. Dopo cinque anni riceve la brutta notizia: «La sua patologia non è dipendente da cause di servizio». È il primo diniego dello Stato. L’unica alternativa è ricorrere al Tar Lazio, che ammette un vizio di forma nell’esito del Ministero e «impone all’amministrazione un onere motivazionale ed istruttorio particolarmente stringente». La sentenza di primo grado viene appellata con richiesta di sospensione. Il Consiglio di Stato invita a sua volta i Ministeri a rimettere un parere di accoglimento ben motivato: «La delicatezza della questione in sé e dei vari interessi implicati ne impone l’esposizione con dovizia di particolari, ma non determina di per sé solo il riconoscimento d’alcunché dell’appellato».

Le amministrazioni,  negano di nuovo, secondo loro non ci sono evidenze scientifiche, ignorando  il rischio probabilistico e i numerosi altri casi identici a quello di Motta, che seguono percorsi diversi. Esaminando tutte   le memorie difensive del ministero della Difesa Lorenzo Motta  si accorge che hanno dichiarato il falso in sede di giudizio. “Scrivono che non ho mai maneggiato munizionamenti pesanti e che non ho mai usato armi – spiega   – Ma posso dimostrare che non è così e rendere conto dei lanci missilistici effettuati dalla Scirocco”. Nel frattempo due sentenze, quella del Tar Lazio e del Tar Piemonte, certificano oltre settantamila  casi come il suo”.

La strada è ancora lunga ma Lorenzo alla domanda se rifarebbe tutto questo sorride e ammette  che non cambierebbe una virgola della sua vita. 

 

 

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