Vaccini. Fondazione Consulenti del Lavoro: "Obbligo del personale sanitario, una norma timida"

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«Il datore di lavoro si ritrova dunque a dover far fronte a una serie di valutazioni complesse nella ponderazione tra i diversi interessi in gioco: la salute dei lavoratori; la salute dei pazienti; la tutela del lavoro e della professionalità dei suoi dipendenti". Così Rosario De Luca, Presidente di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.

  16 aprile 2021 12:50

Un "obbligo senza sanzioni per chi non vi adempie, squilibrato nelle responsabilità assegnate al datore di lavoro": si potrebbe definire così, secondo la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, l'articolo 4 del decreto legge n.44/2021 che, con una “norma timida” ha introdotto l'obbligo vaccinale del personale sanitario per prevenire contagi da Covid-19.

In un approfondimento diffuso appunto da Fondazione Studi, essa analizza nel dettaglio le disposizioni contenute nel provvedimento, dall'iter per l'accertamento dell'obbligo vaccinale al diritto all'esenzione, fino alla distribuzione di oneri e responsabilità, con un focus sul ruolo del datore di lavoro cui spetta, in ogni caso, la salvaguardia dell’ambiente di lavoro, la protezione dei pazienti e l’operatività dei servizi sanitari.

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Appare confermata l’impossibilità, nonostante l’obbligo vaccinale, di procedere con il licenziamento di chi non possa o non voglia sottoporsi al vaccino. Il decreto impone l’obbligo, ma poi prescrive puntualmente i provvedimenti alternativi che il datore di lavoro deve adottare nel caso in cui il lavoratore non possa o non voglia vaccinarsi: esclusa, quindi, qualsiasi automaticità tra mancata vaccinazione e licenziamento. Certo non possono essere considerati provvedimenti disciplinari l’adibire il lavoratore che rifiuti il vaccino ad altre mansioni o, in subordine, la sospensione senza retribuzione.

Proprio sul fronte delle conseguenze della mancata vaccinazione la norma presta il fianco a qualche critica. Infatti, chi non può vaccinarsi perché patisce condizioni cliniche che impediscono l’inoculazione del vaccino, si ritrova in situazioni non dissimili da chi oppone il rifiuto e, addirittura, da chi non risponde neppure all’invito per il primo censimento e successiva profilassi. In entrambi i casi, l’onere ricade sul datore di lavoro, che deve creare le condizioni affinché la prestazione lavorativa del soggetto non vaccinato avvenga evitando contatti interpersonali e anche i rischi di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.

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«Il datore di lavoro si ritrova dunque a dover far fronte a una serie di valutazioni complesse, con il solo ausilio del medico competente, nella ponderazione tra i diversi interessi in gioco: la salute dei lavoratori; la salute dei pazienti; la tutela del lavoro e della professionalità dei suoi dipendenti – afferma Rosario De Luca, Presidente di Fondazione Studi Consulenti del LavoroTutto ciò senza la protezione dello “scudo” penale più volte invocato, che è stato invece previsto da questo decreto ma soltanto per i somministratori del vaccino».

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