Valentina Falsetta: “Abbiamo bisogno della rabbia di tutti”

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Valentina Falsetta
  22 agosto 2023 17:20

di VALENTINA FALSETTA

Solo qualche settimana fa le nostre home social erano pervase dalla  notizia di una sentenza che assolveva l’uomo dall’accusa di molestia perché la palpata era durata dieci secondi: non mi esprimo su questo poiché 1. Non ho letto la sentenza per intero; 2. Non è l’elemento principale su cui mi voglio soffermare oggi. 

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Il copione è pressoché uguale con ogni notizia di femminicidio o violenza di genere: i post indignati (com’è giusto che sia), gli articoli di giornale che riportano minuziosamente gli elementi delle sevizie e sovente si prestano al fenomeno del victim blaming, gli scritti di attivisti/e che puntano alla condivisione virale. 

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Quando la suddetta notizia si spargeva, sull’altra sponda si organizzava una challenge che vedeva le ragazze palparsi il seno, per dieci lunghissimi secondi, a dimostrazione che l’atto fosse violento, violento senza possibilità di attenuazione, violento senza possibilità di scappare dall’evidenza. 

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Mai che uno di detti profili, delle ragazze, dei profili dei tanti amici che riportavano la challenge, avesse l’intuizione di cosa scatenasse in chi ha subito violenza guardare quei video.

Si chiama “Trigger warning”, è un avviso di contenuto che può turbare, e in Italia lo troviamo solo nei profili  più attenti ed empatici: mai sui giornali, mai in tutti quei post che negli ultimi giorni mi hanno impedito (non credo di essere l’unica, non sono l’unica) di entrare sulle mie pagine senza avere male fisico ed emotivo. 

Un copia incolla compulsivo delle frasi dei ragazzi di Palermo: non c’è profilo fra i miei contatti che non abbia ripostato quei virgolettati; non c’è profilo che si sia interrogato su quanto il tutto impatti sulle vittime di violenza e sulla vittima del caso specifico. Io rispetto il diritto di cronaca, lo venero e lo auspico, ma questa morbosità di dettagli senza, mi ripeto, un avviso di cui sopra a cosa può portare? 

Il condividere le frasi bestiali sui nostri profili non fa che aumentare l’interesse di menti perverse verso i canali telegram da anni famosissimi e senz’altro bisognosi di regolamentazione: lo stupro non è un evento da spettacolarizzare, lo stupro non può essere un rigurgito di rabbia sui nostri profili. La classe politica ha il dovere di rispondere all’emergenza della violenza di genere; noi, il nostro diritto a chiedere risposte, lo stiamo esercitando bene? 

Sarebbe forse più impattante sulla realtà un tavolo di lavoro, chiedere fuori dalle sedi opportune risposte ad un’emergenza politica che non può più attendere, occupare colonne di carta stampata e aule scolastiche o Universitarie. Anche queste parole che scrivo dettate dalla rabbia andranno a comporre il nulla di internet, ma l’individuo senza il collettivo cosa può raggiungere? È questo che siamo diventati? 

Non possiamo più aspettarci di poter lavare le coscienze e stenderle al sole linde, non è questo che il momento e la storia ci chiedono. Docenti, studenti, agitatori culturali, enti e associazioni, è il momento di scendere in “piazza” e usare la voce (il solo fatto che io percepisca queste parole come surreali è indice di quanto siamo disabituati allo scontro o al dialogo). Non abbiamo bisogno di condivisioni, di plausi, di virgolettati brutali, abbiamo bisogno che la rabbia di tutti converga nei posti giusti. 

 

 

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