di MARCELLO FURRIOLO
L’altra sera nella splendida e suggestiva cornice dell’Oratorio della Chiesa del Carmine a Catanzaro Marco Calabrese, una figura di musicista e musicofilo molto noto tra le élite culturali milanesi, europee e mondiali, non solo per il suo statuario e inseparabile levriero Pod, ma sistematicamente tenuto ai margini dalla evanescente politica culturale delle istituzioni catanzaresi, ha presentato un programma di “meditazioni e ascolti musicali per la settimana santa“ dall’impegnativo titolo “Venite figlie, aiutatemi a piangere”. La rappresentazione si è sviluppata davanti ad un pubblico rapito dalle parole di Calabrese e dalle musiche suggestive, delicate e potenti, struggenti e trascinanti, dagli assolo, dai dialoghi drammatici, dai cori imploranti e dai corali luminosi e avvolgenti di Johann Sebastian Bach, nelle memorabili pagine de “La Passione Secondo Giovanni” e “La Passione Secondo Matteo”. Ma il momento più alto ed emozionante della serata è stato toccato nel finale con due fulminanti e strazianti richiami ai monumentali Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi del 1736 e particolarmente con lo Stabat Mater di Gioacchino Rossini del 1842, che si chiude con il grido alto e imperioso che evoca il “Giudizio Universale” di Michelangelo.
Questi componimenti musicali, che rappresentano per la cristianità in una dimensione universale il dolore e la sofferenza di una madre difronte all’orrore della morte del figlio, si ispirano ad una composizione di Jacopone da Todi del XIII secolo e nel corso del tempo ha ispirato ed è stato accompagnato dalle note di oltre 400 compositori. La stessa letteratura mondiale ha costruito figure materne di grande rilievo artistico e sociale come la memorabile protagonista del romanzo “La Madre” di Maksim Gorkij del 1906, prototipo di una donna che si immedesima nelle sofferenze, ma anche nelle idee del figlio impegnato nelle lotte nelle fabbriche per l’affermazione della dignità dell’uomo e del lavoratore e la liberazione dall’abbrutimento fisico e morale nella Russia zarista agli albori della Rivoluzione socialista.
L’altra sera tra i banchi preziosamente intarsiati dell’Oratorio del Carmine non era difficile cogliere, in una atmosfera sospesa e affascinata, mentre le note lontane raccontavano “Stava la Madre addolorata/in lacrime vicino alla croce/da cui pendeva il Figlio, Soffriva e si affliggeva/al vedere le pene di suo Figlio,/ sospeso alla Croce” il dramma di una donna fuori dal tempo della storia. Una donna moderna che assiste alla tragedia implacabile dell’Uomo nel suo difficile percorso di verità in una società, dopo duemila anni, ancora più chiusa nella sua grettezza, nei suoi egoismi, nelle sue divisioni, nelle sue disuguaglianze, che a volte appaiono insanabili.
Uscito dall’Oratorio, attraversando il dedalo avvolgente delle viuzze strette e dei bassi silenti del più antico rione del capoluogo, era come penetrare in una tela gigantesca in cui si rappresentano i drammi piccoli e grandi e i destini incompiuti della nostra società in eterno conflitto. Ecco le madri dolenti di Gaza, che piangono i loro figli, unire le loro lacrime con quelle fluenti delle madri israeliane del 7 ottobre, che forse non vedranno più i bimbi rapiti, come i loro fratelli ucraini strappati all’amore delle loro case occupate dalla forza cieca del predominio rapace. Ma anche le madri, le sorelle e le figlie dei morti incolpevoli del Crocus City Hall di Mosca, in cui si è compiuto un atroce crimine contro l’illusione dei governanti di sopire l’odio irragionevole di tutti i terrorismi, che covano negli anfratti della violenza e del rancore oscuro, quando si lascia il teatro del mondo al solo crepitare delle armi e del sopruso e non più alla ragione e alla parola.
Una madre che ancora piange i suoi figli dispersi davanti alla croce di legno bagnato dalle acque disperate sulla spiaggia di Cutro e attende risposte di giustizia dalla politica delle parole al vento.
Sono uscito dal groviglio di case e vicoli del Carmine e passo sotto il balcone di Palazzo De Nobili, la casa dei fantasmi della politica e dei sogni nel cassetto, da cui forse si spandevano nell’aria profumata della sera i sospiri pensosi di Rachele De Nobili e Saverio Marincola, nella cantata popolare di amore e morte, che si tramanda ancora per i turisti e per le scolaresche.
Oggi è giorno di Resurrezione e risuonano calde le parole di Marco Calabrese e l’invocazione di una Madre implorante nella Fede e nella Speranza: “Fa che il cuore arda/ d’amore per Cristo Dio/ affinché mi doni a lui con ardore”. E si ritrovi laicamente la luce della ragione.
Buona Pasqua!
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