Giuseppe Carnovale era capace di intendere e volere quando uccise il cognato Massimo Ripepi? A rispondere a tale domanda sull'esito del processo per omicidio che si sta svolgendo davanti la Corte d'Assise d'appello di Catanzaro sarà un consulente tecnico d'ufficio. Questo perché i giudici (presidente Cosentino, a latere Mellace) hanno accolto la richiesta di riapertura dell'istruttoria dibattimentale avanzata dall'avvocato Adele Manno, difensore dell'imputato, già condannato a 21 anni di reclusione in primo grado al termine del processo con rito abbreviato.
Istanza sulla quale ha espresso parere conforme il sostituto procuratore generale Luigi Salvatore Maffia e tesa a verificare la ricorrenza di un vizio parziale di mente dell'imputato nel momento del delitto, avvenuto a "Piscopio" di Vibo Valentia il 21 ottobre del 2019.
A questo punto, il processo è stato rinviato al 23 febbraio per il conferimento dell'incarico da parte della Corte al perito. Il movente dell'uccisione di Ripepi sarebbe da collegare ad una vendetta per le violenze da parte della vittima ai danni della moglie e dei figli che già gli erano valsi un tentativo di omicidio messo in atto ai suoi danni da un altro figlio, un anno prima, a Vibo Valentia.
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