Villette sequestrate a Caminia. La verità di un proprietario: "Già assolti tre volte"

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images Villette sequestrate a Caminia. La verità di un proprietario: "Già assolti tre volte"
Claudio Aloisi
  23 dicembre 2020 18:36

di EDOARDO CORASANITI

Assoluzioni, archiviazioni, documenti e tanta rabbia per una storia lunga, complessa e ricca di punti interrogativi. Claudio Aloisi, 57 anni, è uno dei 68 indagati dell’operazione della Procura della Repubblica di Catanzaro che lo scorso 17 dicembre ha portato al sequestro di 71 villette a Caminia di Stalettì, in provincia di Catanzaro. Nel suo ufficio nel centro di Catanzaro ha con sé tre faldoni che raccontano la “vicenda di Caminia”, la storia di un’abitazione a pochi metri dal mare che inizia da sua nonna e prosegue ancora oggi tra carte, sentenze, avvocati, giudici, ingegneri, consulenze tecniche. Ma anche un’amarezza e frustrazione che descrive ai nostri microfoni e a quelli di Articolo 21, di Lino Polimeni. 
Il decreto di sequestro notificato giovedì scorso non è il primo atto che arriva a lui o alla sua famiglia. Aloisi mostra due assoluzioni incassate da sua madre, una di sua nonna, un’archiviazione di un procedimento amministrativo e una ricostruzione storico e procedurale diretta ad attestare l’”intima certezza di edificare su un suolo comunale, in tanto confortata sia dalla destinazione del sito e sia dalle autorizzazioni comunali rilasciate nel tempo”, come scritto nella sentenza del 2004 che segna l’assoluzione di sua madre per l’accusa di “abusiva occupazione di spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà privata”.

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Tutto inizia nel 1964. L’amministrazione di Stalettì con bando pubblico invita ad occupare con baracche prima e con costruzioni dopo quei terreni in quanto di proprietà dello stesso comune. Per l’ente locale non c’è dubbio: il terreno è di sua proprietà e viene favorita e sostenuta la realizzazione delle abitazioni.  Nel 1975 la nonna di Aloisi costruisce la casa. Subito dopo, nel 1976, il primo processo concluso con un’assoluzione perché il demanio non ha potuto dimostrare di essere proprietario del terreno. Arriva il Demanio marittimo e nel 1979 ne diventa proprietario con decreto numero 3/79 che sancisce l’avocazione di quella striscia di terra, anche grazie ad una delimitazione effettuata nel 1971 ma approvata solo 8 anni dopo.



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Aloisi ci tiene a condividere una precisazione che ritiene importante. Nel 1981 la sentenza 2417/81 della Corte di Cassazione (sezione II) afferma che per poter individuare un’area appartenente al Demanio Marittimo sono indispensabili tre requisiti: che l’area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; che sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata anticamente sommersa e tutt’ora utilizzabile per uso marittimo; il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione, anche solo potenzialmente.  

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Foto e documenti alla mano, Aloisi sostiene che il suo fabbricato: non è colpito dalle mareggiate ordinarie; anticamente non è stata sommersa tanto è vero che troviamo terra vegetale e non sabbia; infine non è zona attinente alla navigazione, trovandosi la casa a monte della strada comunale asfaltata, ed esseno lontana dalla battigia del mare.   

E a proposito di delimitazioni e Demanio, Aloisi pone dubbi e interrogativi sui criteri di assegnazione dei confini dello Stato: “Perché in un’altra zona della Calabria la delimitazione interessa esclusivamente la spiaggia e l’acqua mentre a Stalettì arriva fino alle abitazioni?”.

Anche nel 2000 si torna in Tribunale. La madre di Aloisi è imputata con altre 17 persone e il procedimento finisce di nuovo con un’assoluzione per depenalizzazione delle accuse.   

Passano solo 4 anni e nel 2004 un altro provvedimento esclude la responsabilità penale. Dopo una ricostruzione dettagliata della vicenda fino a quel momento, il giudice Alessandro Bravin riconosce che l’imputata “abbia agito con intima certezza di edificare su un suolo comunale, in tanto confortata sia dalla destinazione del sito- come resa evidente dalle opere di urbanizzazione comunali esistenti- sia dalle autorizzazioni comunali rilasciate nel tempo per gli insediamenti abitativi sulla medesima area”.

Arriviamo ai giorni nostri e nel 2020 il Tar della Calabria, dopo aver rinviato al giudice ordinario nel 2013, con la sentenza del 27 aprile scorso dice chiaramente: “Perde rilevanza qualunque contestazione in ordine alla certezza della natura demaniale della proprietà e alle modalità con cui essa sia stata accertata, mentre assume portata decisiva la circostanza che, nel caso di specie, non vi è alcun dubbio sull’appartenenza pubblicistica dell’area”.  Sentenza che inoltre viene utilizzata dalla Procura e dal Gip Giulio De Gregorio per avvalorare la tesi per cui l’area sarebbe del Demanio. Anche su questo elenco però Aloisi prova a precisare alcuni punti. Perché, a suo dire, inquirenti e Gip avrebbero dovuto inserire gli elementi che sanciscono come il Demanio sia arrivato successivamente rispetto alla costruzione delle abitazioni. E, se non bastasse, Aloisi contesta anche la sentenza della Corte di Cassazione che viene richiamata nel decreto di sequestro: “Un atto che ha interessato ed è stato notificato esclusivamente ad una persona e determinato ad una Ctu del 1999". 

Pagamento dei tributi. “Ma il fatto che lascia veramente sconcertati è sicuramente la richiesta di pagamento dell’Ici nel corso degli anni laddove il pagamento di tale tributo come indica il Mef, prevede che tale imposta sia dovuta da chiunque sia proprietario di un immobile, o abbia un diritto di superfici e allora ancora una volta il comune di Stalettì, ha avvalorato con la propria richiesta fiscale il riconoscimento di un diritto di proprietà o quanto meno di un diritto di superfice, a coloro che originariamente ha invitato ad andare a costruire con bando pubblico”, afferma Aloisi, che continua:  “Il Comune ha prima invitato e poi nel corso degli anni urbanizzato l’area di Caminia, riconoscendone di fatto l’insediamento urbano, dove se pur in assenza delle relative licenze edilizie, lo stesso Comune ha permesso a tutti coloro che sono andati a costruire, di usufruire di tutti i servizi che un’area regolarmente urbanizzata deve avere”.  Altro esempio, il 21 novembre 2017 il Comune di Stalettì ha autorizzato Aloisi all’allaccio alla fogna, con una nuova tubazione in prosecuzione di un vecchio impianto fognario.

Dunque, ora un nuovo procedimento penale, iniziato il 17 dicembre con il sequestro delle abitazioni definite dal pm Graziella Viscomi "un ecomostro diffuso che, nonostante sollecitazioni giudiziarie extrapenali e penali meno invasive, continua ad ergersi sul demanio deturpando il paesaggio, impedendo l'uso pubblico dell'area, rivendicando, quasi arrogantemente, il diritto all'impunità".  Le accuse contestate sono di abusiva occupazione di spazio demaniale, occupazioni e innovazioni abusive, invasione di terreni o edifici, Deturpamento e imbrattamento di cose altrui.

La difesa di Aloisi, rappresentata dall’avvocato Fausto Salerno, in queste ore depositerà il Riesame reale al Tribunale della Libertà di Catanzaro. 

 

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