di VINCENZO SPEZIALI
Anche quest'anno -al pari di quelli passati- siamo a celebrare senza giubilo, la data di un triste anniversario, ovvero il ricordo e il dolore che si rinnovano in un tutt'uno, quasi a mozzar fiato, speranze, emozioni e visioni. Sono la notte della Repubblica, le tenebre della Democrazia Cristiana e il buio di una famiglia -incardinate tutte e tre nella persona che poi è la vittima fisica (assieme alla sua scorta) di un delirio malvagio- ad intrecciarsi dalle 8,57 del 16 Marzo '78, quasi fosse un abbraccio vitale, seppur mortale al tempo stesso. È la 'presenza' di Aldo Moro -il mio Presidente, il quotidiano rifugio in preghiera, colui che veglia sul personale cammino- però è pure la potenza di un uomo vissuto da santo e morto da martire, che ci richiama a storie e responsabilità, omissioni e indifferenze, ma soprattutto innocenze e colpe. Non che egli, con il suo carattere, possa da lassù far discendere risentimenti, semmai dolore per la macabra sorte, a cui lo hanno condannato, anche e soprattutto, coloro a lui più vicino.
Come è ed era giusto o naturale, gli occhi dolci, lo sguardo mite, i lineamenti tristemente segnati, non lo abbandonano nelle foto -quelle foto, le maledette foto- di cui le canaglie BR sono state sacrileghe autrici, barbare come non mai: vergogna, ed ancora vergogna, persino verso chi giustifica un vilipendio simile o che non lo ammette come tale!
La sua dignità -quella del Presidente- non è scalfita, la sua immagine non l'hanno sminuita.
Sono loro, i terroristi marxisti, i comunisti rivoluzionari -da ciò tutti comprenderanno perché ad essi e a tale ideologia, sarò sempre oppositore- ovvero gli assassini in nome e per conto del leninismo, che alla fine hanno reso immenso e non sconfitto il politico ma soprattutto l'uomo, anzi la persona.
Già aveva ragione il Presidente: "ogni persona è un universo".
Chi c'era con lui? Nessuno, solo pochi, certamente di valore, però pur sempre pochi.
Vi era Riccardo (Misasi), che non si dava pace e tentò con Fanfani un pressing infinito sul debole Zaccagnini ("appassionato senza passione, addolorato senza dolore, il peggior Segretario che la Democrazia Cristiana abbia mai avuto").
Vi era il povero Presidente Craxi -altro grande Statista e dal destino non meno ingiusto e infelice del Presidente Moro- il quale tentava, mediava, proponeva (se per questo batteva persino una 'strada' che portava a Beirut).
C'era Flam (Piccoli), il quale si prodigava per come poteva, con il suo appassionato carattere di eterno 'ragazzo trentino', generoso e coraggioso.
Incedeva Ben (Cazora), che lo ritrovavano nelle periferie romane (persino nei pressi di Via Gradoli) con Normanno Messina (il nonno della mia improbabile cugina Marianna Madia, a testimonianza di come gli antenati siano nel suo caso migliori di lei e poco ce ne vuole).
In Calabria era con il Presidente -e a favore della sua vita, come sempre dovrebbe regolarsi un buon cristiano- il Segretario Regionale della DC dell'epoca, ovvero Franco Petramala (anch'egli attenzionato da autoctoni parabrigastisti di stanza a Catanzaro Lido).
Ma soprattutto, a favore, in azione e per difesa del Presidente, c'era l'eroe italiano unico e solo, il grande Carlo Alberto Dalla Chiesa, al cui sol sentir ancora oggi il suo nome, con orgoglio e commozione di un senso di diffusa appartenenza ai valori della patria e del dovere, chiunque scatta in piedi e applaude, applaude all'infinito, non accettando come financo lui sia stato destinatario di una tragica fine: onore a te Generale, servitore dello Stato, marito, padre e nonno, ma soprattutto uomo come pochi, il quale ha potuto vedere fino in fondo negli occhi i suoi figli e i figli dei suoi figli!
Non voglio soffermarmi su altri aspetti, perché oggi lascio spazio al dolore e al mesto ricordo -affidando a Nostro Signore le anime benedette del Presidente e dei suoi 'angeli custodi'- però ha ragione uno degli ultimi esponenti del Movimento Giovanile DC da sempre fieramente moroteo, Franco Cimino, il quale di questa storia scrive tra le tante cose belle e giuste: "sappiamo tutto e sappiamo poco"!
È vero, non è un ossimoro, semmai cristallizza la verità, rendendola cruda e dolorosa ancor di più.
Si dolorosa, perché dopo il Presidente -prima che morisse la Democrazia Cristiana (ovviamente assassinata da un golpe post moderno)- chi si addormentò nel sonno eterno -fiaccato da un dolore grande, acuto, straziante- fu proprio il Papa dell'epoca, cioè S.Paolo VI° (amico sincero del Presidente e autentico fondatore della DC), il quale in actu moriendi disse (rifacendosi proprio a S.Paolo): "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”.
Chissà perché, sono certo che lo stesso pensò il povero e martire Presidente mio.
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