di CLAUDIA FISCILETTI
Dal revenge porn al victim blaming, dalla rape culture alla violenza sessuale, sono solo alcuni degli argomenti compresi nella violenza di genere che sono stati affrontati questo pomeriggio nel webinar “Revenge porn, violenza in rete. Il lato oscuro del lockdown”, organizzato dal movimento Primavera Studentesca UMG, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Valentina Falsetta, studentessa di Giurisprudenza e moderatrice del dibattito, ha fatto un focus su come la legislazione si sia adattata al modo “digitalizzato” di fare violenza che, come afferma: “E’ un mondo complesso e variegato, in cui il legislatore ha colto le nuove problematiche legate alla digitalizzazione”. Si fa riferimento a Codice Rosso, la legge approvata l’anno scorso in materia di pene riguardanti la violenza domestica e di genere, e viene portato come esempio Telegram, canale social in cui nell’ultimo anno si è verificati un numero allarmante di chat in cui si consuma la violenza digitale nei confronti di mogli, compagne, fidanzate, senza dimenticare la diffusione di materiale pedopornografico. “L’associazione Permesso Negato ha reso pubblico il dato secondo cui, oggi, 1milione di italiani compie violenza sulle donne ed è una cifra incrementata nel periodo di lockdown -questi i fati forniti da Valentina Falsetta- così come sono incrementate del 73% le chiamate ai numeri dei centri antiviolenza”.
In merito al lavoro fatto proprio dai centri antiviolenza, è intervenuta Isolina Mantelli, Presidente del Centro Calabrese di Solidarietà, che ha posto la lente d’ingrandimento sull’iter di “guarigione” intrapreso dalle donne che si rivolgono a Mondo Rosa: “La denuncia non è la prima tappa verso cui invitiamo la donna vittima di violenza, anche perché nel momento in cui si fa, la donna è in una situazione di pericolo, rischiando la reazione violenta del partner. Dobbiamo riconoscere un valore che è l’autodeterminazione e quindi la libertà di poter essere se stesse, le leggi ci sono, ci aiutano, ma non sono tutto”. La prima azione fatta nel centro antiviolenza è quello di riscrivere la donna in un mondo di relazioni: “Perché la violenza maschile prevede come prima tappa l’isolamento della donna, quindi fare in modo che la donna esca da quel sentimento pesante che è la vergogna. Vorrei che ognuno di noi potesse immedesimarsi nei panni di una donna maltrattata”. Secondo Isolina Mantelli, prima ancora che un problema giuridico, la violenza maschile è un problema culturale, sociale: “Le leggi condannano il reo, ma si dovrebbe fare in modo di prevenire il reato”.
A spiegare, poi, quali sono i campanelli di allarme per riconoscere un rapporto tossico -rapporto inteso non solo sentimentale ma anche lavorativo, perché tali violenze si possono verificare in qualsiasi ambiente- è stata la dottoressa Giuditta Lombardo, psicologa e psicoterapeuta EMDR, sottolineando quanto questo sia fondamentale da conoscere soprattutto perché ad essere vittime di violenza sono già le ragazze dai 13 ai 15 anni che non possono riconoscerla in tempo: “Dalla prima fase della conoscenza, alla seduzione, al prendersi cura della donna che poi sfocia in isolamento, nell’intromissione nella vita della donna, fino alla distruzione, fase in cui non si ha nemmeno la forza di reagire e si è persa la speranza”. Oltre al problema della vittima che si dà la colpa per gli abusi subiti: “Non è colpa tua, ma hai il diritto di aiutarti e di prenderti cura di te”.
A conclusione, poi, l’intervento di Damiano Carchedi, garante degli studenti UMG del Dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Sociologia: “E’ arrivato il momento di capire da che parte stare, è inutile lanciare slogan sui social e poi, quando si parla in concreto dell’argomento, siamo sempre in pochi. C’è bisogno di un’azione corale, le leggi da sole non bastano, ma servono sussidi per i centri anti violenza, oltre a pene certe”. Viene approfondito il victim blaming, e cioè il fenomeno in cui la colpevole viene considerata la donna abusata: “Talvolta c’è anche un processo di sciacallaggio mediatico in cui si ha un ribaltamento tra vittima e carnefice -continua Damiano Carchedi-, bisogna iniziare dalle scuole dando un’educazione aggiornata ai tempi di oggi, quindi educare sull’uso della rete e sui pericoli che essa nasconde”.
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