di FRANCO CIMINO
Un murales, in una delle vie di Milano, rappresenta Giulio Regeni che stringe, da dietro, le spalle di Patrick Zaki. Il primo dice all’altro : “è quasi finita”. Il secondo gli risponde:” non lasciarmi.” Mi commuovo.
Piango. Non me ne vergogno. Oggi, di gioia e di dolore. Di gioia, la liberazione del giovane egiziano d’Italia, ovvero l’italiano d’Egitto. Ché è la stessa cosa in quel fatto meraviglioso rappresentato dall’unione di due culture diverse avvinghiate allo stesso mare. Quel mare che nulla separa. Nessuno uccide. E mai alcuno punisce, se non chi è responsabile delle morti di chi cerca una terra di pace e di libertà. Piango di dolore, per le sofferenze patite da Patrick, tenuto illegalmente in regime di carcere durissimo, quello che caratterizza tutte le carceri di quel paese antidemocratico. Due anni di quella detenzione, con i torturatori che quotidianamente ti “ accarezzano” per estorcerti verità gradite al regime per confermarsi come Stato minacciato da paesi stranieri che vorrebbero dominarlo stravolgendone cultura e sentimento religioso, sono la condizione che più di tutte reclama una morte liberatoria. Che per fortuna non è intervenuta. Sacki ha saputo resistere. Ma anche il regime… alla tentazione, assai sconveniente di un nuovo Regeni. Dolore anche per Giulio, che a quella violenza assai più dura non ha potuto risparmiare la propria vita. E Dio solo sa quanto avrebbe voluto riportarla, e pure sana, ai suoi genitori distrutti da quella sua orribile morte. Una morte che reclama una giustizia che, purtroppo, mai arriverà, nonostante la verità sia sotto gli occhi del mondo intero. Il dolore per Giulio, non sta soltanto in questo.
È dolore individuale. Quello che porta ciascuno di noi a mettersi in quella situazione, come giovane vittima e come genitori di quella. Lo stesso dolore che sentiamo per quel giovane ricercatore, Davide Giri, assassinato senza alcuna ragione da un un delinquente, per giunta giovane negro, l’altra sera a New York. Qualsiasi ragazzo, sebbene le motivazioni siano state diverse, avrebbe potuto trovarsi al posto di Giulio o al posto di Davide. E morire mentre si cerca di vivere. Di crescere in cultura e in sensibilità. Mentre, cioè, si cerca di cambiare il mondo, come gli è stato insegnato dalla storia delle ingiustizie che i loro studi e i loro occhi hanno direttamente conosciuto. È anche dolore collettivo. Sociale. Direi, politico. Forse, anche antropologico. È quello del semplice immedesimarsi nei genitori di Regeni o di Gori o dello stesso Saki. Cresci i figli, ti impegni tre vite per il loro futuro, ne assecondi i desideri, ne sostieni i progetti, li accompagni, felice e preoccupato in aeroporto, orgoglioso, però, di vederli partire per affermarsi come nel proprio paese non potrebbero fare, e poi ti arriva quella telefonata che ti cambia la vita.
Arriva di notte. Talvolta, i carabinieri al suo posto. Che bussano alla porta in quel modo che è sempre uguale nelle disgrazie che riguardano i figli. Ed è addirittura meglio riceverle in quel modo che non direttamente dai telegiornali che ti entrano in casa con la stessa rapidità della morte. Io sono cattolico, di fede cristiana. Credo nei miracoli e nella forza dell’Oltre vita. Credo, pertanto, che i buoni vadano in posto dal quale possono aiutare i giusti. I buoni come lui. Quel murales rappresenta esattamente questo. Dio si è servito dei suoi angeli per salvare una vita. Non è così? Fa nulla. Cosa importa? Regeni è una icona di salvezza, una lezione di vita, un simbolo di libertà. E un esempio di come libertà e giustizia camminano sulle gambe degli uomini che vogliano battersi per affermarle. Per tutti.
A costo della propria vita. Infine, quel dolore, per Regeni, si fa anche umiliazione. Quella che abbiamo subito noi tutti. Italiani ed europei. L’umiliazione che continuamente ci infligge un Egitto arrogante e autoritario, violento e bugiardo, che ci nega i responsabili della morte atroce di un giovane italiano. Un umiliazione ancora più grande perché volutamente subita sul terreno del ricatto che questo paese illiberale esercita sul nostro democratico. Un ricatto che va dagli scambi commerciali a quello degli immigrati. Un ricatto che porta il paese democratico per eccellenza e della cristianità vissuta nei suoi valori più profondi, ad anteporre gli interessi economici, e ipocritamente diplomatici, a quelli del primato della vita, della libertà e della dignità della persona. Per questo, e soltanto per questo, la liberazione di Patrick è più che una uscita da un carcere ingiusto e crudele. È la liberazione parziale della Libertà. E l’inizio di quella di Giulio, ancora trattenuto, irriconoscibile nel corpo torturato, nelle stanze della tortura di quei palazzotti segreti del regime autoritario.Quel regime che autorizza i suoi aguzzini a massacrare giovani innocenti. Dalla mente pulita e dal cuore buono.
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