«Stiamo parlando di una questione di civiltà aperta da un quarantennio – spiega Dadone – che richiama un sacrosanto principio di non discriminazione tra i genitori, una disparità stigmatizzata persino dalla Corte costituzionale».
Qualche giorno fa la ministra alla Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone ha dichiarato che il cognome materno per i figli “è una questione di civiltà aperta da un quarantennio, che richiama un sacrosanto principio di non discriminazione tra genitori. L’Italia è rimasta indietro anche nei confronti di molti Paesi europei e anche la Corte costituzionale ha stigmatizzato la disparità tra genitori nel nostro Stato”.
"Negli anni, comitati e organismi giuridici, sia nazionali che internazionali, si sono fatti carico di investire il Parlamento della questione, affinché provvedesse in via definitiva a eliminare la discriminazione che ancora esiste nei confronti della donna". E' quanto si legge in una nota stampa di Alessia Bausone, giurista esperta in pari opportunità e consigliera comunale di San Luca.
"La consuetudine di assegnare al figlio il cognome paterno costituisce un retaggio culturale che ci trasciniamo da millenni, frutto di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna.
"Nel nostro Paese, purtroppo, siamo ancora legati a tali obsolete tradizioni e non si può più accettare che il Parlamento rimanga inerte al riguardo: è dunque fondamentale che la donna e l’uomo raggiungano un vero rapporto paritario anche alla luce del diritto di famiglia. La Corte Costituzionale, - si legge ancora sulla nota - con una decisione del novembre 2016, ha dichiarato incostituzionale l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una contraria volontà dei genitori, ma permane la necessità di un intervento legislativo".
"Abbiamo alle spalle 40 anni di lotte, impegni assunti dall’Italia sul piano internazionale, sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione, - prosegue - una condanna del nostro paese da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e una legge approvata in prima lettura alla Camera nel 2014 e arenata col finire della legislatura nel 2018".
"Ecco perché l’impegno della ministra Dadone di andare fino in fondo nell’approvare il testo di legge che da deputata aveva presentato lo scorso anno - conclude Bausone - e che è firmato anche da Federica Dieni, è importante per superare le discriminazioni di genere che ancora permangono nel diritto di famiglia. Occorre, quindi, questa volta, andare fino in fondo".
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