di NINO CAMPO*
Venendo alle argomentazioni proposte da Antonio Pascuzzo come non condividerle totalmente e ciò da parte di chiunque dei sei candidati a sindaco. Perché la politica elettorale è così tanto brava nel momento delle promesse (e Cetto Laqualunque ne ha scolpito nella pietra il ridicolo)...quanto poi invece così tanto incapace e inerte al momento della concretezza operativa. E dunque non è adesso che Pascuzzo dovrebbe "rimostrare" perché in questo momento elettorale qualunque politico sembra essere bravo come nessuno assurgendo a ruolo di Salvatore della Patria!
Gli ultimi trent'anni di questa città (forse anche quarant'anni) sono stati la negazione della cultura. E la dimostrazione plastica di tale assunto è scolpita sulle antiche pietre dell'ultima torre del Castello di Carlo V intonacate senza un barlume di motivo a cemento grezzo nel rendere quell'antico manufatto un mostro architettonico senza più alcuna dignità.
Perché la cultura non sta nei concerti al Politeama e nemmeno nei convegni al San Giovanni. La cultura sta nelle strade, tra le vecchie pietre, tra i quartieri storici abbandonati a se stessi e tra le nostre antiche tradizioni anche architettoniche ma non solo che oramai sono state totalmente dimenticate. Sta lì la nostra cultura. quella "dipinta" tra le parole di Gissing, allorquando testimoniava che nei bar di Catanzaro si potessero ascoltare conversazioni di gran lunghe più alte rispetto a quelle udibili nelle università inglesi. Questi eravamo noi catanzaresi, una piazza ad esempio fondamentale per le compagnie teatrali le quali qui da noi testavano le proprie fortune. Venir applauditi a Catanzaro dai catanzaresi corrispondeva sempre e comunque al successo in ogni altra piazza d'Italia.
Altri tempi, altri mondi, quelli di una città che non esiste più divenuta un postribolo da rubagallineria e di squallide e miserevoli bassezze. Un intero libro si potrebbe scrivere al riguardo...che in effetti ho scritto... elevando tale problematica a livello regionale 'la questione Calabria - processo alla politica". Perché il problema è regionale pur se da noi, a Catanzaro, ne raggiunge l'ipogeo più oscuro e profondo. Nel libro evidenzio come i calabresi sembrino tutti un branco di pecoroni incapaci finanche di allacciarsi le scarpe. Ma solo fintanto restino in Calabria perché una volta oltrepassata Battaglia si trasformano incredibilmente e divengono invece luminari assoluti in qualunque ambito territoriale nel quale poi si fermino. Da Dulbecco a Polti da Giampiero Leo a John Gallino ovunque i calabresi sono numeri uno nel mondo. Nella galassia potremmo dire...tranne che in Calabria!!! Ed allora come si spiega tutto questo? Com'è possibile che questa terra sembri paralizzare le sinapsi di chiunque la abiti? La risposta è una ed una soltanto..."vuolsi colà dove ciò poltica regionale vuole". Perché in Calabria la politica è la malattia non certo la cura ed è la politica a determinare scientemente e pervicacemente il disastro che tutti viviamo. Qui nulla può esser fatto...nulla di serio, nulla di buono. Ma non perché siamo stati abbandonati dal nostro Dio come un tempo gli Dei abbandonarono Atene. Assolutamente no! Non è sfortuna ma calcolo. La politica rubagallina di questa terra mediante la diseconomia gestisce il proprio ridicolo potere ed utilizza l'assistenzialismo (quasi sempre promesso e quasi mai mantenuto) per tenere schiacciata la regione nel sottosviluppo come un abile ladro che ti porga sorridendo dieci euro con una mano...mentre con l'altra ti stia sfilando il portafogli lasciandoti in mutande.
Ecco è proprio così che il giochetto si inscena uno squallido teatrino che paralizza ogni futuro. Ed anche il mondo della cultura da ciò ne paga ampio scotto con finanziamenti paralizzanti ogni possibile afflato. Da noi un concerto non lo si fa e non lo si può fare se non viene finanziato. Da noi gli impresari teatrali sono "prenditori di prebende" quasi sempre strumento per i cosiddetti "cavalli di ritorno". Da noi la cultura è un mezzo non certo un fine. E tutto si avvita in una spirale della quale non si vede alcun fondo.
Ho vissuto in Canada per qualche anno e lì nessuno si sogna di elargire prebende ai teatri, alle compagnie, agli imprenditori del settore. Ognuno cammina con le proprie gambe e misura i successi coi propri sforzi. A Toronto i teatri sono strapieni sistematicamente nonostante il costo dei biglietti d'ingresso sia dieci volte più caro che da noi. È lì che si fanno i giochi, al botteghino. E non nelle oscure stanze dei direttori regionali rubapolli degli Enti pubblici. Il nostro insomma è un sistema perverso corrotto ed inefficiente che andrebbe smantellato pezzo per pezzo. Ed allora sì che (anche) la "cultura" quella vera tornerebbe ad abitare le nostre antiche sponde omeriche!
*candidato a sindaco di Catanzaro
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