di PAOLO CRISTOFARO
Quando si parla di spostamenti, specialmente nel momento in cui si corre il rischio di diffondere un virus o di beccarselo, sicuramente la cosa viene sconsigliata e, in alcuni casi, come stiamo vedendo in Italia negli ultimi giorni, addirittura vietata. Ma se si è all'estero e se il paese in cui si è ospitati - in piena emergenza pandemia - non adotta adeguate misure di contenimento e sicurezza, non è facile decidere cosa fare.
Così Paolo Mancina, 29 anni, di San Giovanni in Fiore (CS), laureato in Farmacia all'Università "Magna Graecia" di Catanzaro, ha optato per un rientro in Italia, nel suo paese, avvisando ovviamente l'ASL competente e registrandosi per gli opportuni controlli. Ora è in quarantena, a casa. Ha deciso di raccontarci la sua esperienza e il suo viaggio di rientro.
Dove ti trovavi e com'era la situazione lì?
"Ero da qualche settimana a Bournemouth, nel Regno Unito, una cittadina sulla costa meridionale, per studiare inglese in una scuola privata. Ero ospitato da una famiglia locale, come tanti altri studenti dall'estero. La situazione era calma, forse troppo data l'emergenza in atto. Io, insieme ad altri ragazzi italiani, ero preoccupato per come si stavano mettendo le cose negli altri Paesi europei e soprattutto in Italia. Ricevevo le notizie dai parenti per nulla incoraggianti o rassicuranti, ma in Inghilterra prendevano la cosa troppo alla leggera. Solo negli ultimi giorni hanno iniziato ad indossare mascherine, a fare lezioni a distanza e a prendere qualche minima precauzione".
Secondo te hanno sottovalutato troppo il pericolo? Non sono attrezzati? La gente cosa pensava?
"Sicuramente il discorso di Boris Johnson non ha aiutato in tal senso. Tutti si sono posti in maniera troppo superficiale rispetto al problema. Ho avuto l'impressione che ci fosse tanta ignoranza a riguardo - o forse mancata informazione - rispetto a ciò che parallelamente si stava decidendo di fare in Italia. Nessun blocco, nessun fermo delle attività commerciali e ricreative. Pub, bar, locali, scuole... era tutto pieno, affollato, come anche i mezzi di trasporto. Una ragazza che conosco - lavora in un locale - la settimana scorsa sapeva di 500 ingressi prenotati per il sabato sera. Prenotazioni che non sono state annullate nonostante l'allarme dall'estero e la serata si è svolta regolarmente".
Quindi ancora qualche giorno fa, quando l'Italia era già in piena emergenza, lì non si adottava alcun provvedimento?
"No. Anche a scuola venivamo quasi ironicamente smorzati nelle argomentazioni - soprattutto i ragazzi italiani - che magari riguardavano il Coronavirus o se cercavamo di mantenere le distanze con gli altri. La convinzione generale era che l'Italia fosse esagerata. Amici che conosco hanno chiesto al datore di lavoro - magari nei locali affollati e con musica alta, dove bisogna parlare da vicino al bancone, per ordinare - di poter indossare guanti e mascherina, ma gli è stato detto di no. Sono stati quasi presi in giro e gli è stato detto che avrebbero fatto inutilmente preoccupare i clienti".
Così hai deciso di rientrare? Di tornare in Italia?
"Sì. So che in Italia non è visto bene, giustamente, chi si sposta, ma eravamo molto preoccupati di come si stavano mettendo le cose lì, in una situazione paradossale. Dall'estero arrivavano notizie allarmanti, come dal nord Italia, dalla Lombardia, di giovani ammalati, di morti. Qui nulla. Persino nelle famiglie ospitanti il pericolo è stato irriso, sottovalutato e sminuito. In casa dove stavo io eravamo 12, la famiglia più me e altri studenti di Paesi diversi, tra i quali anche arabi. Chiedevo cosa pensassero e mi consideravano esagerato. Anche altri ragazzi dicevano: "Tranquillo, siamo giovani. A noi non succede nulla". Pure a scuola ho sentito ripetere questa cosa, che mi è sembrata incredibile: "Siete giovani, non è un problema vostro". Nel frattempo sui giornali italiani vedevo quelle foto, quei video delle terapie intensive e mi sembrava tutto pazzesco, quello che dicevano".
Hai ritenuto più prudente rientrare? E' stato complicato?
"Ci ho pensato a lungo. Ma alla fine quasi tutti gli italiani che conosco lì sono rientrati. Solo un paio di persone sono rimaste, ma secondo me hanno fatto una cavolata. Il rischio era alto e le misure adottate praticamente nulle. Solo negli ultimi giorni sono state avviate lezioni scolastiche online e in giro si iniziava a vedere qualche mascherina. Io sono tornato sabato 21 in Calabria. A mezzogiorno ero qui. Mi preoccupava l'idea di rimanere in Inghilterra senza adeguate misure di sicurezza e, chiaramente, senza le necessarie eventuali tutele sanitarie che ho in Italia. Il problema ce lo siamo posti tutti. Alla fine ho preso un volo Alitalia e sono arrivato a Fiumicino. Una notte trascorsa in aeroporto, perché mancava il treno nell'immediato e poi, l'indomani, ho preso il Trenitalia Roma-Paola".
Com'è stato il viaggio in aereo? E quello in treno?
"In aereo molti controlli. Polizia presente in aeroporto e verifiche scrupolose. Ci hanno misurato la febbre e siamo stati controllati tutti. Sul treno non proprio.Sono rimasto sorpreso dalla scena a cui ho assistito a Roma. La gente ha letteralmente assaltato il treno che dovevamo prendere per scendere in Calabria, nonostante avessero i biglietti e quindi immagino i posti già prenotati, come me. Trenitalia aveva stabilito già che i passeggeri si sarebbero seduti lasciando un posto libero accanto, per evitare la troppa vicinanza. Ad un certo punto il capotreno ha minacciato addirittura di non far partire il convoglio se avessero continuato quell'assalto che ho trovato insensato. Poi da Paola a San Giovanni in Fiore sono rientrato in auto, per non prendere altri mezzi. Ho chiamato i numeri previsti per registrarmi all'arrivo, per informare le autorità del mio rientro in paese e mettermi in quarantena. Ho avuto qualche problema nel registrarmi sul portale della Regione, perché non riuscivo ad inviare il modulo per un problema tecnico del sito stesso. L'indomani mattina ho chiamato l'ASL locale e tramite i medici ho effettuato formalmente la registrazione di avvenuto rientro e di messa in quarantena. Non sono stato visto di buon occhio qui e posso capire la preoccupazione. Ma ho rispettato tutte le prescrizioni indicate e sono in camera mia dall'arrivo".
Avresti rischiato secondo te rimanendo lì?
"Forse più in là non sarei potuto rientrare. Altri ragazzi - alcuni dalla Turchia ad esempio - hanno avuto la soppressione dei voli per casa, non sanno se e quando riusciranno a rientrare. Altri sono stati bloccati negli aeroporti dei vari scali, in Francia o in altri paesi europei, che gli impediscono di rimbarcarsi per l'Italia. Qualcuno che conosco è andato addirittura verso paesi dell'Est cercando poi di passare il confine senza aereo, ma con altri mezzi, auto o a piedi, perché dagli aeroporti e dalle stazioni di scalo non li facevano ripartire. La paura verso chi si sposta è comprensibile, ci mancherebbe. Ma di certo non è facile ritrovarsi in un paese straniero, senza tutele e a volte senza la possibilità di viverci tranquillamente. Una ragazza - lavorava alla reception della scuola - è stata licenziata, per un taglio al personale deciso dalla sera alla mattina, a seguito dell'organizzazione delle lezioni a distanza. Altre persone, ragazzi, studenti, sono stati anche mandati via dalle famiglie ospitanti - preoccupate negli ultimi giorni - e si ritrovano praticamente per strada all'estero, perché non sono più disponibili ad accoglierli e tenerli con loro. In tanti stanno subendo la stessa cosa a lavoro, nei locali, nei bar, nei negozi. A casa, dalla sera alla mattina. Sfiderei chiunque a trovarsi così in un paese straniero. Anche la gente, in Inghilterra, avrebbe potuto sicuramente essere più comprensiva in alcuni casi, ma ragionano diversamente da noi. In generale mi ha colpito la superficialità nell'affrontare i problemi".
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