Sono appena stati pubblicati, sulla prestigiosa rivista del gruppo Nature, Scientific Reports, i risultati di un’indagine condotta da un gruppo di ricerca composto da due docenti dell’Università di Catanzaro (Prof.sse Marianna Mauro e Monica Giancotti), da una ricercatrice dell’Università della Calabria (prof.ssa Milena Lopreite) e da un ricercatore dell’Istituto Sant’Anna di Pisa (prof. Michelangelo Puliga).
L’articolo analizza il ruolo delle caratteristiche del sistema sanitario nel predire la letalità del Covid 19 durante i primi giorni della pandemia attraverso l'utilizzo di un modello di Machine Learning. Lo studio, condotto su 16 paesi europei, riaccende il dibattito sulle riforme che hanno riguardato i sistemi sanitari negli ultimi 30 anni, ispirate all’aziendalizzazione.
I risultati dimostrano che le variabili demografiche sono le più rilevanti nel predire la letalità, con una prevalenza degli anziani di età superiore ai 65 anni con due o più malattie croniche. Ciò non sorprende e il risultato è in linea con le frequenti segnalazioni che identificano persone di età avanzata appartenenti a gruppi a rischio di vittime di Covid-19.
Un'altra variabile estremamente rilevante - strettamente connessa alle caratteristiche dei sistemi sanitari e al risultato delle politiche sanitarie degli ultimi 30 anni -, nello spiegare la letalità è il numero di posti letto in terapia intensiva. Infatti, i posti letto in terapia intensiva sono stati ridotti prima della pandemia (a seguito di riforme sanitarie ispirate al managerialismo) e i tagli hanno creato una carenza di ventilatori e altri dispositivi salvavita. Per questo motivo, in diversi paesi i sistemi ospedalieri hanno cercato di mantenere il più basso possibile il numero di pazienti nei letti di terapia intensiva ritardando eventualmente il loro ricovero causando un probabile impatto negativo sulla letalità.
Lo studio conferma che la pianificazione della capacità in terapia intensiva deve essere una preoccupazione di primo ordine per le autorità sanitarie per stimare in modo efficiente la domanda di emergenza sanitaria durante una pandemia. Questa variabile è seguita dalla spesa sanitaria (percentuale del PIL) e dal numero di infermieri e medici/1000 abitanti. In sintesi, maggiori risorse nelle infrastrutture sanitarie e in generale nella spesa sanitaria rendono l'assistenza sanitaria più accessibile a una parte più ampia della popolazione con conseguente minor numero di decessi per virus. Inoltre, dove ci sono pochi medici, il tasso di mortalità è maggiore. Questi risultati confermano che le politiche sanitarie orientate all'espansione dello spazio, del personale e delle forniture ospedaliere sono fortemente raccomandate durante una malattia ad alto carico che esaurisce le risorse ospedaliere.
Quest’ultimo studio segue altri precedenti già pubblicati[1] dal gruppo di ricerca Calabrese su riviste di primario rilievo internazionale e che hanno contribuito al dibattito sui temi della sostenibilità dei sistemi sanitari internazionali, con un focus sull’effetto delle riforme del sistema sanitario italiano, alla ricerca di un equilibrio tra centralizzazione e federalismo.
[1] Mauro, M., & Giancotti, M. Italian responses to the COVID-19 emergency: Overthrowing 30 years of health reforms? Health Policy, 125(4), 548-552, DOI: https://doi.org/10.1016/j.healthpol.2020.12.015 (2021).
Mauro M., Maresso A., Guglielmo A., Health decentralization at a dead-end: towards new recovery plans for Italian hospitals, Health Policy 121 (2017) 582-587, http: 10.1016/j.healthpol.2017.04.003 ISSN 0168-8510.
Lopreite M, Mauro M. The effects of population ageing on health care expenditure: A Bayesian VAR analysis using data from Italy. Health Policy 121 (2017) 663–674, http://dx.doi.org/10.1016/j.healthpol.2017.03.015
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