di EDOARDO CORASANITI
Neofascista e latitante, reazionario e scrittore.
Stefano Delle Chiaie è morto stanotte a 82 anni, nell’ospedale Vannini.
La sua è la storia di un uomo che per 20 anni è sfuggito alla giustizia italiana, scappando dai processi giudiziari e politici e da quel sistema che rifiutava. Ma anche di narrazione della destra che ha vissuto per molti anni.
“La repressione non ci piega, ci moltiplica", scrive a marzo scorso nel suo blog di una ritrova Avanguardia Nazionale.
E in questa storia c’è di mezzo anche Catanzaro, le sue aule di Tribunale e il processo per la strage di Piazza Fontana, che si è tenuto nel capoluogo calabrese.
Da questa vicenda giudiziaria, il neofascista è stato assolto a febbraio del 1989 dopo vent’anni dall’esplosione che ha prodotto 17 morti e 88 feriti.
Delle Chiaie fu a capo di una delle più importanti organizzazioni dello squadrismo neofascista, sciolta nel 1976 dal Ministero dell’interno sulla base della legge Scelba.
Si è fatto riconoscere per il suo ruolo di punta all’interno della strategia della tensione, collaborando con il boia di Lione Klaus Barbie, della feroce dittatura boliviana negli anni '80.
Successivamente viene catturato e nel 1997 estradato. Processato anche per la strage nera di Bologna, viene di nuovo scagionato.
Poi la passione per la scrittura e il racconto della sua storia politica, attraverso il libro “L’Aquila e il Condor”. Il testo è stato presentato anche a Catanzaro nel 2012, nella sala consiliare della Provincia.
L’appuntamento portò con sé polemiche e disapprovazioni da parte di chi riteneva Delle Chiaie un modello politico e culturale da dimenticare, piuttosto che da raccontare.
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