"Le mafie non sono un fenomeno criminale come gli altri. E lo Stato non può affrontare un'emergenza come quella mafiosa utilizzando strumenti ordinari ma deve fare ricorso a misure eccezionali. Se non si comprende questo, la lotta alle organizzazioni mafiose sarà destinata al fallimento. Sarebbe una tragedia".
Lo afferma Maria Grazia Laganà Fortugno, già deputata e vedova di Francesco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria ucciso dalla 'ndrangheta il 16 ottobre del 2005.
Tra pochi giorni, è scritto in una nota, "ricorrerà il 14mo anniversario dell'omicidio politico-mafioso più grave della storia calabrese, che sarà ricordato a Locri con una sobria cerimonia alla presenza di autorità di governo, magistrati, esponenti delle istituzioni e soprattutto una larga platea di studenti per promuovere la cultura della legalità".
"Pur avendo rispetto per quanto stabilito dalla Cedu sull'ergastolo ostativo - prosegue Maria Grazia Laganà Fortugno - sono convinta che gli effetti della sentenza rischiano di essere letteralmente devastanti nella guerra condotta dallo Stato contro i clan. L'allarme lanciato in queste ore da magistrati in prima linea nella lotta alla 'ndrangheta deve stimolare una riflessione seria e immediata. Occorre trovare una soluzione giuridica in grado di garantire il diritto alla sicurezza dei cittadini e l'efficacia delle azioni di contrasto ai clan. Il messaggio che rischia di passare è terribile, oltre che offensivo della memoria di vittime innocenti e di uomini e donne dello Stato che hanno perso la vita a difesa della libertà di tutti. Pensare che, nel tempo, possa tornare serenamente alla propria vita un mafioso che si è macchiato di decine, se non di centinaia, di delitti, mina alle fondamenta la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto. Bisogna far comprendere a tutti, iniziando dalle giovani generazioni, che essere mafiosi è ingiusto e sbagliato, ma soprattutto che se intraprendi quella strada sei destinato a passare il resto della tua vita in carcere".
"L'unico modo per affermare lo Stato di diritto e la legalità - conclude - è prevedere pene certe e durissime. E sarebbe ora che, invece di tentare di modificare il nostro ordinamento, fossero gli altri Paesi europei ad adeguarsi al livello della legislazione antimafia italiana perché parliamo ormai di un fenomeno globale".
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