di FRANCO CIMINO
L’altro ieri un mio caro amico è andato via da qui nel modo più tragico. Un dolore, questo, che difficilmente si quieterà. La vita, da tempo ormai, non mantiene la promessa della felicità. Ovvero, di mantenerla, la felicità, garantirla, dopo che la si è ricevuta con la vita. La felicità è innata. La forza creativa che avrebbe dovuto garantirla è la Politica, una delle più grandi scoperte dell’uomo in relazione con i suoi simili. Oppure, per i credenti, la più alta forma di carità. Un dono di Dio, per farci sentire tutti fratelli. La fratellanza, anche nel sentire illuminista, è dunque una condizione, non un valore assoluto o un progetto politico. Una donazione di sé per il bene dell’altro. E siccome l’altro non è il mio vicino o il mio amico sodale, ma colui che è altro da me e nel contempo è me stesso, persona che mi somiglia nella sua diversità, la fratellanza diviene eguaglianza nella parità di ogni condizione umana e sociale. E qui la Politica si fa luogo della realizzazione del Bene comune, che inizia dal momento in cui ogni bene della natura diviene patrimonio di ciascuno e di tutti. Patrimonio non cedibile, non commerciabile. Non alienabile, neppure in nome della libertà individuale. Anzi, prima che nelle leggi della Democrazia, l’unico vero limite alla libertà è dato proprio dall’indissolubile legame tra l’uomo e la natura, in essa comprendendo, evidentemente, tutti gli esseri viventi. La Politica è, dunque, ancora lo strumento attraverso il quale gli uomini si mettono insieme per “restituirsi” la Felicità. Il progetto della Politica, da quello universale a quello locale, è la realizzazione della Pace. In essa c’è tutto. Attraverso di essa tutti i principi e i valori, anche quelli dimenticati o volutamente non compresi nelle varie Costituzioni, sono compiuti. Chi fa la Politica, quindi, deve donarsi tutto, combattere tutti gli egoismi, compreso il suo, sconfiggere la sete di potere, compreso la propria, ogni vanità e personalismo, compresi quelli propriamente caratteriali. Deve mettere da parte le ambizioni carrieristiche e la voglia di arrivare sul terreno facile e corto delle opportunità delle vetrine e sull’opportunismo delle rovine. Chi fa Politica ha davanti a sé solo la dignità delle istituzioni e gli interessi della gente Anzi, non gli interessi, ché oggi è brutta parola, ma i problemi delle persone, i desideri e i bisogni, le ansie e i sogni, di ciascun appartenente alla società e, di più, al genere umano. Chi fa Politica deve avere dentro di sé solo la propria coscienza, da interrogare quotidianamente per mezzo di due sole domande. Queste: “ho servito le istituzioni? Ho fatto, con onestà assoluta, il mio dovere verso la gente?” Stiamo invece vivendo una stagione drammatica, dolorosa e moralmente degradata. La Politica ha lasciato tutto il campo a poteri diversi, invisibili e fortissimi, in cui la vita umana vale meno di un debito, cui imprese e persone sono costrette per rispondere alla ideologia dominante che ci vuole tutti oggetti e consumatori, individui-oggetto che si consumano senza che il tempo li invecchi. Una stagione in cui la vecchia distinzione tra ricchi e poveri-per la lontananza abissale che vi è tra la stragrande maggioranza di quest’ultimi e la ristretta fascia di “ padroni” delle piccole comunità o del mondo- si è trasformata in odio tra gli stessi poveri, i diseredati, i meno abbienti, scatenando nel vivere non più civile il sentimento più assurdo. E cioè l’odio, l’egoismo, addirittura l’invidia tra quelle stesse persone, ormai spaventate di tutto e supplichevoli soltanto di un po’ di pane e sicurezza. Ecco, che per colpa della Politica( il cui degrado abbiamo altrove analizzato e della cui crisi più ampiamente parleremo) la società per la Felicita, si è trasformata in quella della profonda rottura del vincolo di fratellanza e dello stesso senso umano che la anima. In Calabria, questa situazione drammatica si moltiplica per un milione di volte, tante quanto la storica arretratezza culturale e strutturale, la povertà endemica della sua economia, la enorme fragilità sociale, l’ampiezza della corruzione che la pervade, la grave debolezza delle sue istituzioni, l’incultura delle sue classi dirigenti, la subcultura della mafiosità più forte di quella mafiosa, il potere delle mafie diverse che tra di loro sotterraneamente si alleano, la debolezza “ interessata” del mondo della cultura e la difficoltà della stessa Chiesa locale di uscire, nonostante il lavoro coraggioso del vertice Cec, dai suoi stretti ambiti ecclesiastici del passato. In questa sanguinante Calabria, gli spazi della Politica sono da troppo tempo ormai quasi tutti occupati da professionisti della caccia al potere, sia che si trovino vecchi dalla nascita e sia che si autocelebrano come nuovi, con o senza carta d’identità verde. Il confine tra conservatori del vecchio e quello dei propugnatori del nuovo si è rotto sulla stessa logica, facendo confluire tutti nello stesso cerchio degli ambizioni e dei cercatori di spicchi di potere. Quelli che bastano per elevarsi dalla propria mediocrità e per cambiare condizione economica. Parlo di spicchi di potere o di qualcosa che vi assomigli, perché in Calabria di potere politico non esiste nulla, e il fatto che anche le candidature per le regionali ritardate vengano decise a Roma da gente che della Calabria non conosce nulla e della Calabria interessa ancor meno, lo conferma ampiamente. La Calabria è diventata lo zoccolo rotto di un’Italia che in Europa non cammina. Di essa nella “capitale” non bisogna curarsi, ché anzi è una palla al piede. Ciò che però appare più insopportabile è il comportamento di chi opera nella politica calabrese. Arroganza, “strafottenza”, che è più che indifferenza, personalismo, uso strumentale delle istituzioni, “ corruzione” elettorale, che è l’atto costante con cui si cercano voti senza dichiarare con quale schieramento o lista o programma ci si candiderebbe, sono il pane avvelenato che stanno quotidianamente sfornando da forni aperti per qualunque convenienza. Sulla militanza cancellata, fatta da fatiche quotidiane sul territorio, nelle sezioni di partito o nelle piazze del confronto, di studio intenso, si è imposto un nuovismo di maniera che vorrebbe qualificarsi solo per il fatto di essere lontano dalla Politica vera, di essersi impegnato altrove, in altre competenze, in altri posti, per gli affari personali o professionali, ovvero qualificarsi per non aver mai fatto nulla, qui, e per la Calabria. Nella Politica di un tempo, nei suoi periodi di crisi, ci si rivolgeva agli esterni o ai cosiddetti tecnici, e per un tempo limitato. Ora che la Politica è assente, si vorrebbero tutti “ sacrificare” per la terra che “ amano”. E questi tutti, sono coloro ai quali la politica fa schifo se la fanno i politici di professione o militanti, meno schifo, ed anzi assai piace, se sono “ nominati” per farla loro. E al vertice, naturalmente. O sindaci o presidenti o deputati. Mai, nessuno che abbia detto “vengo a lavorare per la mia terra con umiltà, senza pretendere cariche o prebende”, un po’ come hanno fatto molti vecchi-giovani, che alla politica e al territorio hanno dedicato, gratuitamente, gli anni più belli della propria vita. Perché la Politica, è come un logo, uno scudo, dietro al quale si mettono le persone e le passioni. Ovvero, come una vela che si muove in direzione degli ideali che si vogliono perseguire. Che dolore vedere la Calabria rovinata come una vecchia barca spiaggiata, intorno alla quale falsi marinai dal volto di pirata stanno ferocemente litigando per spartirsi le quattro infracidite tavole di legno ancora rimastele.
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